Dobbiamo pagare l’imposta di pubblicità al Comune per la targa dello studio associato professionale?

Molti Comuni richiedono il pagamento di questa imposta quando le dimensioni della targa superino i 300 cm quadri, limite entro il quale vi è l’esenzione dal pagamento. Ad esempio dimensioni di 5×60 ovvero di 6×50 cm lineari sarebbero esenti. Ma a seguito del ricorso di due avvocati la suprema Corte di Cassazione si è espressa nel 2010 (Sentenza n.16722 del 16 luglio 2010) e ha stabilito che affiggere una targa all’esterno dello studio legale non comporta pagamento dell’imposta sulla pubblicità se la targa in questione non contiene messaggi promozionali ma solo i nomi, l’attività svolta e il luogo dello studio. Essa ha condiviso una linea interpretativa seguita dal Ministero dell’Economia e delle Finanze che, in una Circolare del maggio 2002, aveva statuito che “devono essere ricomprese tra le fattispecie che godono del beneficio in questione i mezzi pubblicitari esposti dai professionisti (medici, avvocati, commercialisti, architetti, ingegneri ecc.), che possono rientrare nella definizione di cui al citato art. 47 del D.P.R. n. 495 del 1992, in quanto assolvono al compito di individuare la sede dove si svolge un’attività economica”.
La Cassazione ha ripreso alcuni concetti della Corte di Giustizia europea che si era espressa sulle “attività commerciali” e quelle di “produzione di beni e servizi”, evidenziando che il concetto di impresa abbraccia qualsiasi entità che eserciti un’attività economica, a prescindere dallo status giuridico della detta entità e dalle sue modalità di finanziamento e costituisce un’attività economica qualsiasi attività consistente nell’offrire beni o servizi su un mercato determinato. Si è, pertanto concluso che gli avvocati “svolgono un’attività economica e, pertanto, costituiscono imprese ai sensi degli artt. 85, 86 e 90 del Trattato, senza che la natura complessa e tecnica dei servizi da loro forniti e la circostanza che l’esercizio della loro professione è regolamentato siano tali da modificare questa conclusione”. Ne deriva che, in ossequio ai richiamati principi del diritto comunitario, non è ammissibile che l’avvocato (e il libero professionista in genere) possa essere soggetto, per l’imposta in trattazione, ad un regime fiscale differenziato – e più gravoso – rispetto a quello riservato a coloro che svolgono una qualsiasi altra attività economica.
Quindi, volendo osservare i principi della Corte Costituzionale se ci si limita solo ad indicare il luogo di esercizio, nome e cognome oltre che la professione, pur superando i limiti sopra indicati, non si sarebbe soggetti ad alcuna imposta in quanto non manifesta alcun intento pubblicitario.
Di contro, la sola indicazione di elementi ulteriori (quali particolari settori trattati dallo studio professionale, loghi che lo identificano, affiliazioni ad altri studi ecc) farebbe ricadere la fattispecie in una di quelle non esenti potendo deli-nearsi da tali indicazioni la volontà di svolgere della pubblicità, con la conseguenza dell’assoggettamento all’imposta qualora si eccedano i limiti dimensionali.