Anatomia dei tessuti mucosi perimplantari

Anatomia perimplantare.
fig. 1 Anatomia perimplantare
Keywords:

Uno dei compiti più importanti dell’igienista dentale è il monitoraggio della salute dei tessuti molli del cavo orale, al fine di poter intercettare precocemente l’eventuale insorgenza di patologie, in e particolar modo le parodontopatie. La sempre maggiore diffusione delle riabilitazioni protesiche implantosupportate, quale trattamento per la sostituzione di elementi dentari mancanti universalmente accettato come predicibile per l’elevata percentuale di successo (circa l’85% a oltre 5 anni), richiede quindi la capacità di attuare, anche in uno stesso paziente, protocolli differenziati per il mantenimento nel tempo dello stato di salute di gengiva e mucosa perimplantare, proprio per evitare l’insorgenza non solo di parodontiti, ma anche di perimplantiti. Ciò assume ulteriore valenza se si considera che la salute parodontale degli elementi dentali residui e il mantenimento dell’igiene orale domiciliare sono ampiamente riconosciuti in letteratura come condizioni importantissime ai fini del successo a medio e lungo termine della riabilitazione protesica implantosupportata.
A questo punto è bene chiarire subito le differenze tra tessuti molli parodontali e perimplantari.
Il versante esterno (orale) dei tessuti molli parodontali e perimplantari è simile, presentando una mucosa orale più o meno cheratinizzata (a seconda della presenza o meno di gengiva cheratinizzata). L’interfaccia interna tra tessuti molli e dente o impianto è rappresentata coronalmente da epitelio giunzionale con un’ampiezza di circa 2 mm e apicalmente da connettivo sopracrestale che presenta un’ampiezza di circa 1-1,5 mm.
La connessione tra epitelio e dente o impianto avviene attraverso una lamina basale ed emidesmosomi. Nel dente naturale il limite apicale dell’epitelio giunzionale corrisponde alla linea di giunzione amelocementizia, mentre nell’interfaccia tessuti molli-impianto, l’epitelio giunzionale si arresta a circa 1,5 mm dalla cresta ossea in corrispondenza della fascia di connettivo sopracrestale.

Anatomia perimplantare.
fig. 1 Anatomia perimplantare

Secondo il concetto di osteointegrazione (Fig. 1) definito da Brånemark, l’osso è in intimo contatto con l’impianto alla cui interfaccia vi è assenza di tessuto connettivo o altro tessuto diverso dall’osso (1). I problemi di identificazione del grado esatto di attacco osseo necessario affinché un impianto possa raggiungere l’osteointegrazione hanno portato a una definizione di quest’ultima basata, piuttosto che su criteri istologici, sulla stabilità implantare: “Un processo grazie al quale si ottiene, e si mantiene, nell’osso una fissazione rigida, clinicamente asintomatica, di materiale alloplastico durante il carico funzionale” (2). Il successo implantare osservato al microscopio mostra percentuali di contatto osso-impianto variabili dal 30 al 95% (non è mai stato riferito un dato corrispondente al 100%) (3).
L’unità impiantare è priva di legamento parodontale, plesso vascolare parodontale, sistema neurosensoriale e cemento, che circondano invece gli elementi naturali e l’assenza di cemento sulla superficie dell’impianto ne impedisce l’unione con le fibre collagene. Nel dente naturale le fibre connettivali hanno un andamento prevalentemente orizzontale e si inseriscono nel cemento radicolare, mentre nell’impianto esse sembrano originare dal periostio della cresta ossea e presentano un andamento parallelo a quello della superficie dell’impianto. In corrispondenza della zona sopracrestale il connettivo è più ricco di fibre collagene, ma presenta una minore popolazione cellulare rappresentata da fibroblasti e una minore vascolarizzazione rispetto a quella dei denti naturali, assumendo così le caratteristiche di un tessuto cicatriziale; inoltre sembra essere strettamente adeso al sottile strato di ossido di titanio che ricopre la superficie implantare. Sono state anche individuate fibre connettivali con andamento circolare attorno all’impianto. I fibroblasti presenti a questo livello svolgerebbero la funzione di mantenere e se necessario ristabilire la coesione tra il connettivo e la superficie implantare. La minore vascolarizzazione del connettivo implantare sarebbe anche riconducibile al fatto che i denti naturali possiedono una duplice fonte di vascolarizzazione, dai vasi sopraperiostali e dal plesso vascolare del legamento parodontale, mentre negli impianti è presente solo la prima.
Sia nei denti naturali che negli impianti viene riconosciuta la funzione di barriera dell’attacco connettivale e del connettivo sopracrestale. E ancora, sia nei denti naturali che negli impianti è stata individuata la cosiddetta “ampiezza biologica”, corrispondente a circa 3 mm e che tende ad essere ricreata a spese della cresta ossea in caso di altezza insufficiente dei tessuti molli.
La risposta all’accumulo di placca batterica, cioè la composizione dell’infiltrato infiammatorio e la tipologia delle lesioni dal punto di vista istologico, nelle prime fasi, è del tutto simile nei tessuti molli parodontali e in quelli perimplantari (4).

CONSIDERAZIONI MICROBIOLOGICHE

I dati disponibili sulla microbiologia dell’impianto dentale in condizioni cliniche sane e patologiche suggeriscono che la nuova superficie di “tessuto duro” presentata dall’impianto all’ambiente orale costituisce anch’essa una superficie di adesione a proteine salivari e altre sostanze che formano rapidamente una pellicola probabilmente abbastanza simile a quella che si forma sui denti naturali. Tale pellicola fornisce recettori per l’adesione a specie specifiche di batteri orali, che costituiscono i colonizzatori implantari precoci. Anche le specie batteriche sembrano essere simili a quelle della colonizzazione dentale e comprendono membri dei generi Streptococcus, Actinomyces e Veillonella.
È utile rilevare che l’inserimento implantare sembra “spostare indietro l’orologio” della formazione di biofilm maturo; in altre parole, per un certo periodo la composizione microbica del biofilm sugli impianti sani può essere simile a quella osservata sulla superficie dei denti parodontalmente sani nell’adolescente.
Inevitabilmente, però, in un arco di tempo variabile da mesi ad anni, il microbiota implantare diventa più complesso. Attorno all’impianto possono formarsi tasche con un aumento delle specie appartenenti ai complessi batterici aggressivi, analogamente a quanto avviene nelle tasche parodontali profonde dei denti naturali. Il microbiota implantare nei soggetti parzialmente edentuli e affetti da parodontite sembra ospitare più agenti patogeni parodontali rispetto al microbiota implantare nei soggetti parzialmente edentuli senza parodontite e su impianti in soggetti totalmente edentuli. La presenza di queste specie sembra aumentare il rischio di perimplantite a lungo termine nei soggetti con storia di parodontite (5).

TIPOLOGIE DI RIABILITAZIONI IMPLANTOPROTESICHE   

In fase di programmazione di una riabilitazione protesica implantosupportata si analizzano la struttura ossea, la forma dei mascellari, le variazioni anatomiche legate alla perdita dei denti e all’età, valutando con esami radiologici la posizione del canale mandibolare e dei seni mascellari, la vascolarizzazione e l’innervazione del sito ricevente. Caratteristiche importanti sono la qualità dell’osso, la presenza di mucosa aderente, la tecnica chirurgica, il trattamento di superficie dell’impianto, la metallurgia e la forma della fixture. Infatti, la scelta protesica si basa su diversi fattori: quantità e qualità d’osso disponibile nelle sedi interessate sono una condizione fondamentale, così come lo sono la distanza interarcata e il tipo d’occlusione. Quando si realizza una travata su impianti, tenendo conto del fatto che l’interfaccia osso-impianto è un sistema rigido e privo di resilienza, diventa imperativo cercare di raggiungere la massima precisione e passivazione della sovrastruttura: la mancanza di un buon adattamento della sovrastruttura sugli impianti determina un aumento del rischio di svitamento e/o frattura delle componenti meccaniche. In questo modo il chirurgo può effettuare un’attenta valutazione dei parametri indispensabili ai fini del successo della riabilitazione. Vi sono però anche altri fattori legati alla risposta immunitaria del paziente che possono influenzare il risultato. In tal senso è da sottolineare l’importanza della salute parodontale degli elementi dentali presenti e del mantenimento dell’igiene orale domiciliare del paziente come fattori di successo a medio e lungo termine della protesi su impianti.
Quale che sia il tipo di riabilitazione protesica è necessario l’inserimento protesicamente guidato delle fixture, la passivazione delle strutture protesiche, il condizionamento dei tessuti molli (6).

Corona di tipo avvitata.
fig. 2 Corona di tipo avvitata.

La connessione tra abutment e fixture può essere avvitata, cementata o conometrica. Nel primo caso il manufatto protesico è avvitato direttamente sugli impianti (Fig. 2) e ciò rappresenta un vantaggio da un punto di vista dell’igiene professionale perché la rimozione è effettuata dall’odontoiatra, permettendo quindi maggior controllo e facilitazione dell’operatività clinica. L’assenza di cemento sigillante offre, inoltre, un maggiore rispetto dei tessuti per l’assenza di eventuali cementazioni incongrue che potrebbero originare recessioni e infiammazioni gengivali.
Diverse sono le situazioni anatomiche e cliniche che caratterizzano ogni cavo orale, in particolare l’edentulia può essere totale, parziale o singola, e di conseguenza variano le indicazioni sulle tipologie protesiche implantari.

  • Monoelemento: mancanza di un singolo elemento con un solo impianto in sostituzione.
  • Edentulia di due o più denti con più impianti in sostituzione.
  • Protesi intercalata: sella edentula compresa tra denti naturali.
  • Protesi distale: edentulia distale.
  • Full arch: edentulia completa con varie soluzioni protesiche avvitate o cementate.
  • Overimplant: protesi totale rimovibile con flange in resina ancorata ad impianti con barre, attacchi a pallina, corone telescopiche, che deve essere rimossa in ambito domiciliare e/o professionale.

Impianti singoli: è la soluzione in cui l’impianto viene inserito nella stessa posizione precedentemente occupata dal dente naturale (Fig. 3, 4, 5).

Monoelemento
fig. 3 Monoelemento.
Monoelemento protesizzato
fig. 4 Monoelemento protesizzato.
Radiografia di controllo
fig. 5 Radiografia di controllo.

Per estetica e gestione igienica questo tipo di protesi è del tutto simile alla dentizione originaria, garantendo una soluzione il più possibile conservativa ed esteticamente naturale. È la tipologia protesica di elezione nei casi di agenesia, post-trattamento ortodontico preprotesico, permettendo una protesi implantosupportata che rispetta le esigenze estetiche e funzionali del giovane paziente a fine crescita.
Edentulia di due o più denti: si possono sostituire con impianti due o più denti, in caso di selle edentule più o meno estese, permettendo la realizzazione di protesi fisse laddove si eseguivano in passato le tradizionali protesi rimovibili. In particolare trovano largo impiego nei casi in cui le protesi tradizionali fisse presenterebbero scarsa affidabilità e il ricorso a protesi rimovibili comporterebbe disconfort per il paziente e/o stati dolorosi più o meno evidenti. Oggi più che mai, l’ingegneria medica tende a studiare nuove applicazioni che soddisfino tutti i criteri di stabilità e biocompatibilità, nonché igiene adeguata per il mantenimento domiciliare di questi manufatti protesici. Tecnicamente si possono eseguire sia protesi implanto-supportate con un numero di impianti pari al numero dei denti mancanti, sia “ponti su impianti” in modo del tutto sovrapponibile ai ponti ancorati ai denti naturali.
Protesi intercalata: è così definita la soluzione protesica nel caso di una sella intercalata sia con più impianti o con ponti implantosupportati, in entrambi i casi è importante stabilire un corretto parallelismo, passivazione, stabilità occlusale ed estetica (Fig. 6, 7).

Protesi intercalata con monconi esposti.
fig. 6 Protesi intercalata con monconi esposti.
Protesi intercalata protesizzata.
fig. 7 Protesi intercalata protesizzata.

Protesi distale: è la soluzione implantare in caso di una sella distale in sostituzione di una protesi rimovibile. La mancanza di un dente naturale distale non permette l’esecuzione di una protesi fissa su denti naturali. Anche in questo caso si può eseguire una protesi supportata da più impianti o un ponte su impianti.
Full arch: si tratta di soluzioni fisse di un’intera arcata in presenza di edentulia totale. Si possono avere soluzioni avvitate su 5-6 impianti posti in maniera non protesicamente-guidata (Toronto bridge) o soluzioni in cui gli impianti sono posizionati in corrispondenza dei denti e la protesi, generalmente cementata, rispecchia l’arcata dentaria naturale. In caso di riabilitazione con una Toronto bridge nella mandibola, vengono inseriti 5-6 impianti situati davanti ai forami mentonieri. Nel mascellare superiore si consiglia un minimo di sei impianti. La Toronto bridge è una protesi fissa senza appoggio mucoso che permette anche di ricostruire i tessuti molli in caso di elevata perdita di osso. Questo tipo di protesi consiste in una struttura metallica sulla quale vengono applicati denti artificiali e che viene avvitata agli impianti (Fig. 8).

Toronto: utilizzo di presidi di igiene.
fig. 8 Toronto: utilizzo di presidi di igiene.

Overimplant su bottoni, barra o telescopica: è una protessi rimovibile sovrapposta a impianti con la presenza di flange estetiche in resina, che può essere rimossa dal paziente per un’igiene ottimale, e dall’operatore per controlli e manovre d’igiene. Si sceglie questa soluzione quando è necessaria anche la ricostruzione dei tessuti molli, facendo in modo che il profilo di emergenza implantare sia raggiungibile dagli strumenti di igiene.
L’overimplant è una dentiera appoggiata su due-quattro impianti che offrono maggiore stabilità. La struttura può essere ancorata a una barra oppure a due o più bottoni che corrispondono agli abutment degli impianti inseriti solo in regione frontale. Smontando le protesi si possono notare due strutture:

  • una primaria, che è costituita dalla barra o dai bottoni sugli impianti;
  • una secondaria, che si incastra alla precedente, sulla quale vengono applicati i denti. Il paziente rimuove questa seconda struttura per effettuare un’adeguata pulizia degli attacchi.

Le protesi implantosupportate rimovibili possono presentare diverse metodiche di ancoraggio: attacchi su bottoni (Fig. 9) o attacco a barra (Fig. 10).

Overimplant su bottoni
fig. 9 Overimplant su bottoni.
Overimplant su barra
fig. 10 Overimplant su barra

Protesi telescopica: viene ancorata agli impianti e non richiede un appoggio mucoso. La scelta di questa soluzione è nei casi in cui si ha molta perdita di osso e dove è necessario ricostruire oltre ai denti, anche parte dei tessuti molli, sia in direzione verticale che in quella orizzontale, per dare un corretto sostegno al labbro e per risolvere i problemi estetici e fonetici. Questa soluzione protesica richiede la realizzazione di una flangia di resina, molto alta vestibolarmente che quindi nasconde pilastri implantari, impedendone la corretta pulizia se non si potesse smontare. Smontando la protesi si possono notare due strutture:

  • una metallica fissata agli impianti mediante avvitamento, che può essere rimossa solo dall’odontoiatra (Fig. 11);

    Struttura in metallo su impianti.
    fig. 11 Struttura in metallo su impianti.
  • una seconda che si incastra alla precedente, sulla quale vengono applicati i denti (Fig. 12), ed è questa che il paziente rimuove per poter effettuare un’adeguata pulizia degli impianti.
    fig. 12 Protesi fissa rimovibile su impianti.
    fig. 12 Protesi fissa rimovibile su impianti.

    Questo tipo di protesi risulta molto utile soprattutto nell’arcata superiore. Viene inserita per frizionamento sui pilastri implantari e non richiede un appoggio mucoso.

Bibliografia:
  1. Berglundh T, Lindhe J. Dimension of the periimplant mucosa. Biological width revisited. J Clin Periodontol 1996 Oct;23(10):971-3.
  2. Arvidson K, Bystedt H, Frykholm A, von Konow L, Lothigius E. Five-year prospective follow-up report of the Astra Tech Dental Implant System in the treatment of edentulous mandibles. Clin Oral Implants Res 1998 Aug;9(4):225-34.
  3. Cochran DL, Hermann JS, Schenk RK, Higginbottom FL, Buser D. Biologic width around titanium implants. A histometric analysis of the implanto-gingival junction around unloaded and loaded nonsubmerged implants in the canine mandible. J J Periodontol. 1997 Feb;68(2):186-98.
  4. Adell R, Lekholm U, Rockler B, Brånemark PI, Lindhe J, Eriksson B, Sbordone L. Marginal tissue reactions at osseointegrated titanium fixtures (I). A 3-year longitudinal prospective study. Int J Oral Maxillofac Surg 1986 Feb;15(1):39-52.
  5. Brusati R. Chirurgia preprotesica. Trattato di tecnica chirurgica. Padova: Ed. Piccin Nuova Libraria S.p.A; 1986.
  6. Gherlone E. La protesi su impianti osteointegrati. Milano: Ed. Masson. Cap. 2; p. 8.
To cite: Rivista Italiana igiene Dentale • mar-apr 2017; 13(2) © ariesdue