La complessità: una sfida per la professionalità

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Da poco si sono spenti i riflettori sul XXXI Congresso Nazionale AIDI: un bellissimo evento che, attraverso un percorso ricco di relazioni, confronti e discussioni, è riuscito ad accendere le luci del nostro mondo, su una tematica fortemente emergente: il paziente complesso, il paziente del presente e del futuro prossimo.

Il modello dell’individuo malato che più comunemente contraddistingue il nostro tempo, infatti, non è tanto l’individuo affetto da un’unica e definita malattia, acuta e risolvibile nel breve-medio termine, quanto piuttosto un malato cronico, affetto da più patologie incidenti contemporaneamente, in cui il fenotipo clinico risultante è determinato e influenzato non solo da fattori biologici (malattia-specifici), ma anche da determinanti non biologici (status socio-familiare, economico, ambientale, accessibilità delle cure eccetera), che interagiscono fra di loro e con i fattori malattia-specifici in maniera dinamica a delineare la tipologia del malato complesso.

La gestione di questa tipologia di pazienti risulta una delle principali sfide del SSN e dei SSR, per una serie di motivi: innanzitutto, per la particolare situazione epidemiologica, che vede la multimorbosità, con la complessità gestionale che ne consegue, come la condizione più frequente. Poi per l’esigenza di contenere i costi dell’assistenza sanitaria, in uno scenario di continuo aumento dei bisogni, a cui non sta corrispondendo un proporzionale aumento delle risorse. Infine, per la necessità di rafforzare la capacità dell’assistenza territoriale di rispondere ai bisogni dei pazienti complessi con multimorbosità croniche, considerando che l’assistenza ospedaliera è stata necessariamente e opportunamente confinata alla gestione delle acuzie più importanti.

Il fenomeno della multimorbosità è peraltro in continua crescita essendo legato all’invecchiamento della popolazione e, fortunatamente, alla sempre più frequente “guarigione con esiti” di tanti pazienti che sopravvivono a patologie che prima portavano al decesso (long survivors).

La polipatologia è associata a un ridotto stato funzionale e a un aumento nell’uso dei servizi sanitari, i sistemi sanitari si trovano quindi a dover affrontare nuove sfide: da una parte i bisogni di salute della popolazione stanno aumentando, mentre le risorse disponibili, a seguito della crisi economica, si stanno progressivamente riducendo. Queste tendenze opposte stimolano (ma forse è preferibile dire, costringono) le organizzazioni sanitarie a comprendere meglio il carico di morbidità della popolazione e a come allocare e utilizzare al meglio le attuali risorse.

I pazienti affetti da patologie croniche multiple richiedono una gestione proattiva e coordinata per affrontare il problema nella sua interezza evitando di considerare singolarmente le patologie concomitanti. Tuttavia, i sistemi sanitari sono strutturati in larga parte per rispondere alle singole patologie più che alle condizioni di compresenza di più patologie in uno stesso individuo.

Un paziente complesso affetto da più patologie deve pertanto essere inserito in un programma assistenziale che tenga conto non solo delle interrelazioni biologiche tra le varie patologie da cui è affetto, ma anche di tutti quei determinanti non biologici e che afferiscono ad altre dimensioni (cultura, educazione, situazione sociofamiliare), le quali agiscono, sia direttamente sia indirettamente, sugli esiti di salute in termini di aderenza al trattamento e attenzione agli stili di vita.

La gestione del paziente complesso richiede uno sforzo di integrazione, multidisciplinarietà e continuità

Nel malato con bisogni complessi la compromissione dell’autosufficienza e/o la complessità dell’approccio assistenziale e terapeutico richiede necessariamente l’intervento di più operatori e/o enti con diverse competenze, e questa pluralità di attori si deve articolare intorno al paziente, non il contrario, data l’estrema fragilità che caratterizza tale momento di vita, sia per la persona interessata sia per la sua famiglia.

È necessario procedere cioè in una logica “multidimensionale”, cioè con un approccio, una lettura e un intervento che affrontino contemporaneamente tre “dimensioni” fondamentali della persona, riconducibili a tre grandi categorie: l’assenza/presenza di malattie, la capacità di soddisfare i bisogni vitali fondamentali, le capacità cognitivo-relazionali abbinate al contesto di vita. La prima, afferisce agli aspetti sanitari o “medico-clinici” propriamente detti: è l’ambito in cui si stabilisce la diagnosi e la terapia, nonché si attivano i corretti approcci di prevenzione primaria, secondaria e terziaria. La dimensione dell’autonomia si riferisce al soddisfacimento dei bisogni fondamentali: mangiare, muoversi, essere puliti, vestirsi.

La dimensione psicosociale riguarda, invece, il microcontesto in cui vive il paziente: relazioni interpersonali, possibilità economiche, abitazione, supporti familiari. Nell’assistenza ai malati con bisogni assistenziali complessi nessuno ha tutte le risposte per tutte le domande e tutti in qualche modo dipendono dalla competenza altrui.

Ciascun servizio ha una specifica utilità: diverse persone possono aver bisogno di servizi diversi e la stessa persona può avere bisogno di più servizi lungo il corso della vita; non sono produttive le diatribe che tendono a contrapporre il ricovero all’assistenza domiciliare, i servizi medici a quelli assistenziali: a seconda dei casi può essere indicato l’uno o l’altro oppure l’uno e l’altro opportunamente combinati.

I servizi, tutti e comunque, devono approcciare globalmente le persone: siamo pertanto nell’ambito della multiprofessionalità, in cui diversi operatori con estrazione professionale differente e appartenenti a diversi enti sono chiamati ad agire in modo coordinato e integrato.

Queste azioni integrate del team assistenziale, che necessariamente varia al variare della persona (cambia il medico di famiglia, cambia la tipologia e l’intensità dei supporti necessari e così via), devono avere un approccio globale all’assistenza al malato, che tenga conto delle diverse dimensioni della sua vita e, dato che l’efficacia con cui si affronta ognuna di esse inevitabilmente influenza le altre, le attività devono essere programmate e coordinate.

L’implementazione di un’assistenza multidimensionale e multiprofessionale non accade per caso e non può essere affidata all’improvvisazione: necessita piuttosto di una regia complessiva, finalizzata a garantire che si attivi, per ogni malato, un Piano Assistenziale Individuale (PAI), che preveda l’apporto coordinato di tutti i sevizi/operatori necessari, con una forte proiezione verso la domiciliarità, con il coinvolgimento del contesto familiare.

PAI inteso come uno strumento flessibile, che richiede continui aggiornamenti sulla base dei mutamenti dello stato di salute e di autonomia del paziente. Un sistema assistenziale così impostato presuppone l’intervento integrato di diversi professionisti e l’igienista dentale rappresenta sicuramente una figura strategica nell’équipe multidisciplinare, una “risorsa” in grado di produrre una migliore qualità di vita della persona, unitamente a un abbattimento dei costi per la sanità, mediante interventi di prevenzione primaria, secondaria e terziaria che rispondono allo sviluppo di una sanità d’iniziativa, cioè a un modello assistenziale che sia in grado di intervenire, quando possibile, prima dell’insorgere della malattia oppure, quando la malattia è in atto, di gestire la malattia stessa in modo da rallentarne il decorso e limitarne le riacutizzazioni.

La professionalità dell’igienista dentale si esprime in questo contesto nell’espletamento dell’attività clinica e nel saper interpretare il delicato ruolo di raccordo tra medico e paziente, paziente e comunità, in scienza e coscienza, nel rispetto di ogni singola professionalità che compone il team e salvaguardando il diritto all’autodeterminazione del paziente.

La gestione del paziente “complesso” presuppone un bagaglio di conoscenze e competenze adeguate da parte dell’igienista dentale e che sono il frutto di un percorso di studi scrupolosamente pianificato, rimodulato e uniformato nel tempo, in cui il raggiungimento delle necessarie competenze professionali si attua attraverso un’appropriata formazione teorica, indispensabile per qualsiasi professione sanitaria, affiancata da un’accurata preparazione clinica e pratica, assicurata dal tirocinio professionalizzante che prevede la frequenza di vari reparti ospedalieri e il contatto continuo con realtà e situazioni cliniche “complesse” che offrono agli studenti, sia opportunità di lavoro in equipe, sia nuove opportunità per crescere professionalmente e umanamente.

La sensibilizzazione e la formazione a tematiche di particolare criticità garantiscono all’igienista una specifica capacità di interazione con i pazienti vulnerabili e con le figure che di loro si prendono cura: i genitori, gli educatori, gli assistenti, gli operatori sanitari, ai quali deve essere fornita un’adeguata informazione sull’attività di mantenimento domiciliare, in modo da ottenere il loro efficace e responsabile coinvolgimento e poter così raggiungere il più elevato livello di salute possibile.

Tuttavia, accanto a queste opportunità emergono una serie di criticità che, di fatto, limitano l’intervento dell’igienista dentale nella presa in carico del paziente complesso, in primis la cronica mancanza di questa figura nell’ambito del sistema sanitario pubblico.

In un modello assistenziale in cui si tende a ottimizzare la gestione della “complessità” in ambito territoriale, diventa praticamente impossibile integrare la presenza dell’igienista nel team multiprofessionale, in quanto di fatto “assente” sul territorio, se non per un ristretto numero di realtà.

Emergono una serie di criticità che, di fatto, limitano l’intervento dell’igienista dentale nella presa in carico del paziente complesso, in primis la cronica mancanza di questa figura nell’ambito del sistema sanitario pubblico

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Altra criticità che emerge nella presa in carico del malato complesso (e che è una conseguenza della prima) è l’impossibilità di assicurare la presenza dell’igienista in tutti quei percorsi di domiciliarità che tanto vengono invocati nella prevenzione e nella gestione della complessità sociosanitaria: si tratta di percorsi che vengono unanimemente riconosciuti efficaci da tanti punti di vista, soprattutto in termini di  miglioramento della qualità di vita e sostenibilità economica, ma che purtroppo mancano di concrete attenzioni e di sufficienti investimenti, rimanendo così vere “Cenerentole” dei servizi, con drammatiche ripercussioni su persone e famiglie.

In questa fase di continua evoluzione e ricerca di ridefinizione dei servizi occorre riportare queste criticità al centro dell’attenzione e inserirle tra le priorità di programmazione e attuazione tra i decisori politici e gli amministratori, e, decisamente invertire la rotta nelle scelte, decisioni e allocazioni di risorse, a favore dell’impiego di professionisti adeguatamente formati e immediatamente disponibili.