Protocolli professionali e domiciliari di mantenimento in implantoprotesi

Curette in teflon per la rimozione del tartaro dalle superfici implantoprotesiche.
fig. 4 Curette in teflon per la rimozione del tartaro dalle superfici implantoprotesiche.

Negli anni è stata condotta una importante attività di ricerca con l’intento di individuare un approccio clinico capace di risolvere la lesione prodotta dalla perimplantite, ma non disponiamo ancora di strategie terapeutiche che permettano un trattamento efficace della patologia e ciò giustifica la centralità e  l’importanza di un’azione preventiva mirata a ridurre il rischio di insorgenza di lesione perimplantare, andando ad agire tanto sulle cause eziologiche intrinseche, quanto sui fattori di rischio associati e configurandosi, pertanto, come compito affidato all’igienista dentale per le “caratteristiche genetiche” del suo profilo professionale

La riabilitazione protesica a supporto implantare, di qualsiasi tipologia ed estensione, è una metodica caratterizzata da grande prediciblità ed aspettative di sopravvivenza a lungo termine, che la letteratura scientifica quantifica con una incidenza di circa il 95-98%.
Questi risultati, tali da permettere di affermare che l’implantologia rappresenti l’approccio terapeutico più utilizzato per la risoluzione dell’edentulia, sono possibili a patto che la riabilitazione sia eseguita nel rispetto di precisi protocolli chirurgici, protesici e merceologici al fine di garantire una corretta realizzazione e funzionalizzazione dell’insieme implantoprotesico. Per raggiungere simili tassi di sopravvivenza a lungo termine è però altrettanto necessaria una corretta prevenzione delle problematiche infiammatorie acute e croniche dei tessuti perimplantari, chiamate rispettivamente mucosite perimplantare e perimplantite che, seppur con alcune differenze di natura istopatologica, possono essere accomunate, per analogia del tipo di danno prodotto e degli agenti eziologici microbici coinvolti, alla gengivite e alla parodontite che colpiscono i denti naturali. Va tuttavia sottolineato come la perimplantite sia caratterizzata da una minore risposta ai trattamenti terapeutici rispetto alla parodontite ed esiti, nella quasi totalità dei casi, nella mobilizzazione dell’impianto osteointegrato e, di conseguenza, nel fallimento della riabilitazione.
Per queste ragioni l’igienista dentale deve predisporre un protocollo di follow-up a lungo termine specifico per i pazienti riabilitati mediante implantoprotesi che sia strutturato su più livelli, coniugando la profilassi professionale di igiene orale con accurate istruzioni relative alle tecniche ed ai presidi più indicati per l’igiene orale domiciliare, passando attraverso una fase di valutazione dei livelli di esposizione ai fattori di rischio per le patologie perimplantari cui il paziente si espone.
Per poter assolvere efficacemente a tale impegno risulta pertanto imperativo acquisire le necessarie conoscenze relative a proprietà e caratteristiche dei vari dispositivi da utilizzarsi in sede professionale e domiciliare al fine di scegliere i device più adatti per ogni singolo caso e, allo stesso tempo, instaurare un dialogo costruttivo con il paziente al fine di indagarne l’eventuale livello di esposizione ai fattori di rischio, rendendolo edotto circa le relative correlazioni con la possibilità di andare incontro ad un fallimento implantare ed esortandolo a ridurre il livello di esposizione ad essi, laddove possibile, ed ancora motivandolo ad eseguire una scrupolosa ed efficace igiene orale domiciliare nel quotidiano.
La letteratura scientifica facilita enormemente nel portare a termine questi compiti, in quanto negli anni è stata ripetutamente posta l’attenzione sui queste tematiche permettendoci di avere risposte autorevoli alle necessità preventive legate al mantenimento dell’implantoprotesi, tanto in sede professionale quanto in ambito domiciliare.

La strumentazione

Con riferimento all’ambito professionale, allo stato attuale è possibile reperire nel commercio un insieme di strumenti espressamente dedicati alla profilassi dell’implantoprotesi e del sito implantare adatti sia al follow-up condotto su impianti sani, sia per il trattamento della patologia perimplantare ed accomunati dall’efficacia nel rimuovere placca batterica e tartaro dalle superfici in titanio e da quelle protesiche ma, contemporaneamente, senza danneggiarle né alterarne le superfici. In tale ambito il ricorso a specifici inserti per ablatore ultrasonico, realizzati in materiali plastici come il peek (Fig. 1),

Inserto in peek per ablatore ad ultrasuoni.
fig. 1 Inserto in peek per ablatore ad ultrasuoni.

rappresentano lo standard per la rimozione dei depositi di tartaro, così come i sistemi di air-polishing hanno raggiunto un livello di ottimizzazione tale dei dispostivi e delle polveri utilizzate da permettere un efficace deplaquing sia dalle sovrastrutture protesiche (Fig. 2)

Sistema per air-polishing supragengivale.
fig. 2 Sistema per air-polishing supragengivale.

che, con il ricorso a device a bassa pressione e polveri all’uopo realizzate, dell’ambiente intrasulculare del sito implantare (Fig. 3).

Sistema per air-polishing sottogengivale a bassa pressione.
fig. 3 Sistema per air-polishing sottogengivale a bassa pressione.

In relazione alle procedure di air-polishing è bene tuttavia porre l’attenzione su alcuni aspetti, in particolare relativi alle restrizioni di impiego e alla scelta delle polveri. Benché si tratti di una pratica clinica generalmente sicura, purché effettuata con l’ausilio di una potente aspirazione, bisogna ricordare che questi dispositivi durante il loro funzionamento producono un aerosol che può disperdersi nell’ambiente circostante e che potrebbe essere mal tollerato da pazienti affetti da asma, allergie o problematiche respiratorie. Inoltre, sono sconsigliabili nei soggetti affetti da malattie infettive come HIV o HCV, in quanto in caso di sanguinamento le procedure di air polishing possono disperdere in aria anche parte del fluido ematico.
Un altro aspetto importante risiede nella scelta delle polveri in funzione di cosa si deve trattare.
Attualmente si ricorre sempre meno all’impiego del bicarbonato di sodio in favore di polveri contenenti glicina, oppure una miscela di clorexidina ed eritritolo. La glicina è stata a lungo valutata in numerosi studi scientifici che ne hanno decretato una grande efficacia sia per quanto riguarda le formulazioni adatte al deplaquing delle superfici protesiche e di quelle implantari esposte all’ambiente orale, per le quali si scelgono le formulazioni a media granulometria, sia per la detersione dell’ambiente intrasulculare del sito implantare, che viene effettuato con polveri a bassissima granulometria.
Sebbene il ricorso a simili tecnologie, in forza di un ampio avallo scientifico e clinico, rappresenti sempre più una scelta elettiva nel management professionale dell’implantoprotesi, non bisogna comunque dimenticare che anche strumenti manuali come le curette in materiali plastici o carbocompositi (Fig. 4)

Curette in teflon per la rimozione del tartaro dalle superfici implantoprotesiche.
fig. 4 Curette in teflon per la rimozione del tartaro dalle superfici implantoprotesiche.

sono dispositivi da tenere a portata di mano, in quanto valide soluzioni per il debridement in buona parte delle situazioni cliniche legate al mantenimento della protesi a supporto implantare, così come il ricorso a specifiche coppette (Fig. 5) e paste da lucidatura consenta di effettuare comunque un efficace deplaquing dell’insieme implantoprotesico.

Coppetta per deplaquing specifica per implantoprotesi.
fig. 5 Coppetta per deplaquing specifica per implantoprotesi.

In conclusione possiamo pertanto affermare che la scelta dello strumentario da utilizzare deve essere comunque sempre effettuata non solamente in base alle peculiarità del dispositivo, ma anche in base alla propria esperienza clinica, accettando il fatto che il corretto utilizzo di ogni strumento passa sempre e comunque per una fase di apprendistato da parte del clinico necessaria ad ottenere la massima efficacia di strumentazione.
Poiché il fine ultimo del mantenimento professionale è sempre quello di prevenire l’insorgenza di problematiche infiammatorie perimplantari e poiché, per lo sviluppo di tali processi flogistici, è necessario che il biofilm batterico abbia il tempo necessario per organizzarsi in una comunità microbica in cui risiedano anche gli opportuni ceppi patogeni, appare chiaro come un altro punto centrale sia la valutazione della frequenza con cui sottoporre il paziente a profilassi igienica professionale.
È stato ampiamente dimostrato in letteratura che i batteri capaci di dar luogo a infiammazione dei tessuti perimplantari necessitano di circa 3 o 4 mesi per iniziare la fase infiammatoria cronica. Sulla base di questa osservazione sembra ragionevole raccomandare al paziente di sottoporsi a igiene orale professionale con analoga cadenza, al fine di scongiurare l’eventualità che il biofilm orale abbia il tempo di trovare un’organizzazione tale da dare inizio ad una lesione perimplantare. Ovviamente stabilire i tempi di richiamo è una valutazione da effettuarsi anche in forza di osservazioni cliniche relative alle capacità del paziente di mantenere nel quotidiano una buona igiene orale e in funzione della sua esposizione ai fattori di rischio.

La profilassi domiciliare

Il successo a lungo termine delle riabilitazioni implantari, e più in generale in ambito di prevenzione della salute orale, implica anche che il paziente debba essere capace di effettuare in sede domiciliare una efficace igiene orale. In tal senso, ciò che viene richiesto al paziente è di rivestire il ruolo di attore protagonista di un copione in cui egli svolge un’interazione sinergica con quella del clinico, con il quale dialoga al fine di mettere a punto una strategia domiciliare basata sulla scelta di dispositivi indicati per le specifiche caratteristiche e valutati in base alle capacità di apprendimento.
Oggi l’offerta di presidi domiciliari si presenta molto varia, con prodotti adeguati alle caratteristiche di unicità della cavità orale di ciascun individuo e della tipologia e struttura propria della riabilitazione implantoprotesica specifica.
Come già accennato, la scelta dei presidi domiciliari di igiene deve essere effettuata valutando compliance e capacità domiciliari del paziente, in quanto l’efficacia di ciascun prodotto è funzione di un corretto utilizzo che, inoltre, previene l’eventualità di arrecare danni di origine traumatica ai materiali implantoprotesici ed ai tessuti di sostegno.
Ovviamente ottenere la compliance del paziente è un altro requisito indispensabile, in quanto il raggiungimento di una buona igiene orale domiciliare è frutto di procedure effettuate con scrupolo e ripetute con costanza, dedicando il tempo adeguato ad effettuare tutte le manovre necessarie al fine di disgregare e rimuovere al meglio la placca batterica dalle superfici dentali, naturali o protesiche.
Inoltre è necessario valutare nel tempo la capacità del paziente di eseguire correttamente le tecniche di igiene orale domiciliare raccomandate tramite controlli regolari dell’accumulo di placca effettuati durante le sedute di igiene orale professionale, meglio se con l’ausilio di sostanze rivelatrici come le soluzioni a base di eritrosina.
Tornando alla scelta dei presidi per l’igiene orale domiciliare dell’implantoprotesi, è importante orientare le scelte verso dispositivi che siano il più possibile famigliari al paziente e, al contempo, di facile utilizzo.
Laddove si decida di raccomandare uno spazzolino manuale è preferibile optare una scelta orientata verso prodotti la cui testina abbia dimensioni non troppo grandi e filamenti in nylon o tynex con estremità arrotondate, di consistenza media o morbida, per evitare graffi agli abutment, che aumenterebbero le capacità degli stessi di accumulare placca. Relativamente alle tecniche di utilizzo dello spazzolino manuale, va precisato che non esistono indicazioni precise che indichino la tecnica di utilizzo “manuale” ma che, sicuramente, è opportuno impartire a riguardo precise istruzioni al paziente, optando comunque per tecniche di provata atraumaticità per i tessuti gengivali e perimplantari, come la Bass modificata, la Stillmann o la tecnica a rullo.
Se invece si preferisce optare per uno spazzolino elettrico, si raccomandano i dispositivi con movimento pulsante e rotatorio, muniti di testine rotonde con setole medie o morbide e dal design semplice.
Va ricordato come, al di là di qualsiasi preferenza personale, lo spazzolino elettrico si dimostri incapace di arrecare danni ai tessuti gengivali quando utilizzato correttamente ed esercitando una pressione contenuta sulle superfici da trattare, dimostrando contemporaneamente una capacità di rimozione della placca batterica analoga se non superiore a quella di uno spazzolino manuale.
Il vantaggio che risiede nella scelta di uno spazzolino elettrico è comunque da ricercarsi nella facilità di utilizzo, in quanto non richiede di apprendere una specifica tecnica di spazzolamento, come nel caso degli spazzolini manuali, ma semplicemente di appoggiarlo per qualche secondo sulle singole superfici dentali (naturali o protesiche) e di attendere che il movimento proprio della testina disgreghi il biofilm batterico adeso su di esse.
Sebbene lo spazzolino sia da considerarsi indispensabile per l’igiene orale domiciliare, è però bene ricordare come, anche attorno alle riabilitazioni implantoprotesiche, esso non consente una completa rimozione della placca, che rimane annidata tra le superfici interprossimali ed a livello delle connessioni tra fixture ed abutment, zone il cui trattamento deve essere effettuato con appositi presidi, come il filo interdentale, gli scovolini e lo spazzolino monociuffo.
La dertersione delle aree interprossimali dell’implantoprotesi, ovvero al di sotto degli elementi a pontic, può essere effettuata con l’impiego del filo interdentale sia tradizionale che di tipo spugnoso. Ovviamente un filo di tipo tradizionale sarà indicato laddove gli spazi sono abbastanza stretti, ad esempio nel caso di un monoimpianto circondato da elementi naturali, mentre il filo spugnoso si dimostra particolarmente efficace negli spazi di più ampie dimensioni, al di sotto dei pontic ed attorno all’emergenza dell’abutment. In particolare per il flossing dell’abutment si consiglia, quando fattibile, di abbracciare completamente l’abutment con il filo (tecnica a cravatta) per poi procedere alla sua detersione (Fig. 6).

Uso del filo spugnoso con tecnica a cravatta
fig. 6 Uso del filo spugnoso con tecnica a cravatta.

Laddove invece il paziente non dimostri buona manualità con il filo, o quando gli spazi interprossimali sono tanto ampi da rendere poco efficace il filo interdentale, si può ricorrere agli scovolini (Fig. 7).

 

Nel commercio se ne possono trovare

Scovolini interprossimali di vari diametri.
fig. 7 Scovolini interprossimali di vari diametri.

di forma cilindrica piuttosto che conica e nei diametri più vari, provvisti di manico diritto (adatti ai settori anteriori) o angolato a 90 gradi (adatti all’area dei diatorici). Il diametro va scelto in funzione del passaggio dello scovolino, che deve generare una leggera frizione sulle aree prossimali dei elementi dentali trattati, ovvero tra denti (protesici) e mucose con le quali sono a contatto. In generale sono da preferirsi i modelli che presentano un’anima metallica ricoperta in plastica rispetto a quelli la cui anima metallica non presenta rivestimento, a maggiore garanzia di non provocare traumi alle mucose e ai tessuti naturali.
Laddove si riscontrassero particolari difficoltà a rimuovere con efficacia la placca dai dispostivi implantoprotesici, può essere vantaggioso completare le manovre di igiene orale domiciliare mediante il ricorso allo spazzolino monociuffo (Fig. 8), le cui piccole dimensioni consentono di raggiungere e trattare con buona precisione le aree meno gestibili con spazzolino, filo e scovolini.

Spazzolino monociuffo per l’igiene della porzione distale di un ponte protesico su impianti.
fig. 8 Spazzolino monociuffo per l’igiene della porzione distale di un ponte protesico su impianti.

Sempre in tema di dispositivi per l’igiene orale domiciliare, è doveroso menzionare gli idropulsori, il cui impiego, sebbene la letteratura riferisca una scarsa efficacia, può essere visto come ulteriore coadiuvante, purché utilizzati a bassa pressione di lavoro e limitatamente alla rimozione dei depositi più grossolani derivanti dalla masticazione dei cibi.
Da quanto ricordato in queste pagine, possiamo concludere che la sopravvivenza a lungo termine delle riabilitazioni implantari è il frutto di uno sforzo coordinato sostenuto pariteticamente dall’equipe odontoiatrica e dal paziente stesso. L’evidenza scientifica e i riscontri clinici che sostengono questo assioma derivano oramai da decenni di attenta osservazione dei fenomeni fisiologici e patologici legati agli impianti dentali e consentono altresì di osservare come un approccio di taglio preventivo sia l’unica via percorribile, in quanto ad oggi non si dispone di alcun protocollo terapeutico capace di risolvere stabilmente la perimplantite, nonostante negli anni si siano avanzate proposte di trattamento come il protocollo C.I.S.T., a oggi l’unico approccio strutturato in letteratura, ma che non risulta essere neanche esso risolutivo.
In conclusione è quindi possibile definire dei “capisaldi” concettuali e procedurali ai quali rifarsi nell’impostare i protocolli di follow-up.

  1. Necessità di controllo del biofilm batterico al fine di evitare la proliferazione di ceppi microbiologici patogeni, in sede professionale e domiciliare.
  2. Valutazione dell’esposizione ai fattori di rischio al fine di motivare il paziente a ridurre ove possibile l’esposizione ad essi.
  3. Scelta di dispositivi per l’igiene orale professionale che si dimostrino efficaci nella rimozione di placca batterica e tartaro, ma contemporaneamente non inducano danni alle superfici implanto-protesiche.
  4. Scelta di dispositivi per l’igiene orale domiciliare che permettano al paziente di mantenere nel quotidiano condizioni ottimali di igiene orale e che, nei limiti del possibile, siano anche di facile utilizzo.
  5. Compliance del paziente, requisito indispensabile al fine di poter impostare una relazione sinergica ed interattiva con il paziente.

Principali fattori di rischio che possono incidere  sulla sopravvivenza implantare  a lungo termine

Scarsi livelli di igiene orale. In condizioni di igiene orale non ottimale, il bioflm batterico può mutare nella composizione ed arricchirsi di ceppi anaerobi Gram-negativi, tra i quali si repertano anche le specie microbiche responsabili dei processi flogistici parodontali e perimplantari. Pertanto, una scrupolosa igiene orale domiciliare è una strategia valida per evitare l’instaurarsi delle condizioni favorenti lo sviluppo di processi infammatori.
Tabagismo. L’abitudine al tabagismo può incidere sia sullo sviluppo di perimplantite sia sugli esiti della chirurgia implantare. Numerosi studi imputano al fumo la responsabilità di infuire sulla mancata osteointegrazione (fallimenti precoci), sull’aumento dell’incidenza di perimplantite e sulla rapidità di progressione ed entità del danno ai tessuti perimplantari quando colpiti da infiammazione cronica.
Diabete mellito. La patologia diabetica è da considerarsi fattore di rischio nei soggetti con scarso controllo metabolico. Esiste difatti una significativa correlazione tra diabete mellito e malattia perimplantare, che si estrinseca in una “azione sinergica” tra le due patologie: il diabete mellito non compensato è in grado di aggravare e sostenere la lesione perimplantare. Va inoltre tenuta in debita considerazione la natura stessa della patologia diabetica, che esibisce tra i suoi effetti anche un deterioramento delle performance dei processi di guarigione tessutali. Pertanto è lecito aspettarsi questo tipo di manifestazioni patologiche anche a livello dei tessuti perimplantari, tanto nella fase di guarigione che segue il posizionamento chirurgico degli impianti, quanto a seguito di sedute di terapia causale per il trattamento dei focolai flogistici. Alla luce di queste dinamiche, al paziente riabilitato con impianti deve essere raccomandato un controllo attento e costante del diabete mellito.


Alcune tecniche di utilizzo dello spazzolino manuale

Tecnica a rullo
Si posiziona lo spazzolino apicalmente sulla gengiva e parallelo all’asse verticale del dente, quindi si compie una rotazione in direzione coronale, con una moderata pressione. Risulta efficace nel rimuovere la placca senza traumi per i tessuti.

Tecnica di Bass modificata
Spazzolamento sulculare operato introducendo le setole nel solco gengivale angolate a 45° rispetto all’arcata, applicando una leggera pressione e vibrazione e muovendo la testina in direzione apico-coronale.

Tecnica di Stillman
Utile per massaggiare e stimolare le aree cervicali delle mucose con direzione apicale, prevede l’applicazione di una leggera pressione e vibrazione.