Funzioni della saliva e molecole correlate. Una revisione bibliografica

Salivary functions and related molecules. A literature review

FIG. 1 Sedi delle principali ghiandole salivari. Il dotto di Wharton è preposto all’escrezione da parte della ghiandola sottomascellare, quello di Stenone è preposto all’escrezione da parte della ghiandola parotide.
Affiliazioni:
Scopo del lavoro:

Lo scopo principale di questo studio era di eseguire una revisione della letteratura sulle funzioni della saliva in generale e quindi delle specifiche molecole a esse correlate.

Materiali e metodi:

Per la revisione è stata utilizzata principalmente PubMed, inserendo i seguenti termini MeSH: salivary functions, salivary composition, salivary proteins, salivary proteome, salivary peptides, salivary peptidomic. Sono stati presi in considerazione tutti gli studi ritenuti più pertinenti e rispondenti all’argomento, indipendentemente dalla data di pubblicazione. Inoltre, da una ricerca su Google, utilizzando gli stessi termini MeSH, sono stati presi in considerazione anche alcuni libri o capitoli di libri.

Risultati:

Dall’analisi di una serie di referenze riportate in bibliografia, sono state dedotte otto funzioni principali della saliva e, per ognuna, un gruppo di molecole a esse correlate. Inoltre, dall’analisi di altri riferimenti bibliografici sono state dedotte altre quattro funzioni della saliva, non strettamente correlate a specifiche molecole.

INTRODUZIONE

La componente fluida presente nella cavità orale di rado viene indicata come fluido orale, mentre più spesso come fluido salivare o semplicemente saliva che può essere suddivisa in saliva mista e saliva intera (o totale). Di norma, la saliva è costituita dal 99% di acqua e, per il restante 1%, da proteine (rappresentate da enzimi, immunoglobuline, mucine, tracce di albumina, nonché oligo- e polipeptidi importanti per la salute orale) e da una varietà di elettroliti cationici quali, sodio, potassio, calcio, magnesio ed elettroliti anionici quali cloruro, bicarbonato, fosfato (1, 2). In piccola parte è presente anche del glucosio insieme a prodotti azotati sotto forma di urea e ioni ammonio (2, 3)

La saliva è prodotta o secreta principalmente da tre coppie (paia) di ghiandole salivari (Fig. 1): le più grandi, dette ghiandole parotidi, sono localizzate subito dietro l’angolo della mandibola, sotto e davanti alle orecchie; le ghiandole sottolinguali si trovano sotto la parte laterale della lingua; le ghiandole sottomandibolari si trovano sotto la parte laterale della mascella. Oltre a queste ghiandole più grandi ne sono presenti altre minori localizzate all’interno della sottomucosa orale (4, 5). Le secrezioni ghiandolari sono rappresentate dalla cosiddetta saliva mista che, a sua volta, può essere di tipo sieroso oppure mucoide. La secrezione sierosa non contiene muco ed è generalmente meno viscosa rispetto alla secrezione mucoide. La saliva intera (o totale) si riferisce alla miscela complessa di liquidi derivanti dalle ghiandole salivari e dal solco gengivale, con l’aggiunta del trasudato dalla mucosa orale, oltre al muco proveniente dalla cavità nasale e dalla faringe, a batteri non aderenti, a cellule epiteliali desquamate, cellule e siero del sangue, così come eventuali tracce di farmaci o prodotti chimici (6-8).

Generalmente, la saliva viene secreta a una velocità compresa tra 0,3 e 7,0 mL/min; tuttavia, in una persona sana, il flusso salivare può raggiungere una media di 1-1,5 L al giorno (9), ma durante il sonno il flusso può scendere fino a 0 mL/min (2). In ogni modo, sia la quantità sia la qualità dei componenti salivari dipendono dal ritmo circadiano (10, 11), come pure dall’attività e dalla stimolazione delle varie ghiandole salivari (12), dall’età, sesso e gruppo sanguigno del paziente (13), nonché da stimoli fisiologici (14). Il pH salivare viene mantenuto entro un intervallo abbastanza ristretto di valori compresi, generalmente, tra 6,0 e 7,4.

Di certo alla saliva vanno riconosciute molteplici funzioni e quelle più strettamente associabili a specifiche biomolecole, e che servono a mantenere la salute orale e a creare un adeguato equilibrio ecologico, possono essere raggruppate nelle seguenti 8 categorie principali (Fig. 2): antibatterica, antimicotica, antivirale, capacità tampone, digestione, guarigione delle ferite, lubrificazione e protezione della mucosa orale ed esofago, protezione dentale. Da sottolineare che i vari componenti salivari, in particolare le proteine, possono essere multifunzionali (eseguendo più di una funzione), ridondanti (esecuzione di funzioni simili, ma in misura diversa) e, sorprendentemente, anche anti-funzionali, agendo contemporaneamente in maniera benefica o dannosa (15). Tuttavia, oltre alle funzioni sopra citate è bene menzionarne anche altre più generali e meno associabili a specifiche biomolecole (Fig. 3) in particolare:

  1. moistering (umettazione), cioè mantenere umida la mucosa orale in modo che sia meno suscettibile all’abrasione favorendo la rimozione di microrganismi, cellule epiteliali desquamate, leucociti;
  2. gusto, infatti la saliva svolge un ruolo critico nel fornire il fluido in cui i sapori solidi possono dissolversi e nel distribuire il gusto intorno alla cavità orale e in prossimità delle papille gustative, esaltando così la sensazione del gusto in generale;
  3. olfatto; la saliva è molto coinvolta in questo senso preposto alla rilevazione degli aromi, dalla sua incorporazione nel bolo alimentare, alla sua azione di fusione con determinati alimenti, alla sua azione di riscaldamento o raffreddamento di alcuni alimenti, nonché al suo ruolo svolto nella liquefazione del cibo prima della deglutizione;
  4. clearance salivare, cioè contribuire alla rimozione di residui di cibo e bevande dalla bocca.

In tale contesto e in termini di salute orale, il materiale più importante da rimuovere dalla bocca, e al più presto possibile dopo l’assunzione, sono i carboidrati fermentabili come il saccarosio, il glucosio e sostanze acide più che altro sotto forma di bevande o di cibi. Come le molteplici funzioni svolte dalla saliva, anche le principali tipologie di biomolecole associate a dette funzioni, a parte qualche eccezione, possono essere potenzialmente raggruppate in sei famiglie (Fig. 4). Molte di queste proteine presentano una sequenza amminoacidica abbastanza inusuale come, per esempio, un alto contenuto di proline (proteine ricche di prolina) o di cisteine (cistatine) o di istidina (istatine) oppure di amminoacidi glicosilati, in particolare la serina (mucine), oppure si presentano ampiamente non strutturate (staterina), oppure sotto diverse isoforme (amilasi).  Certamente, l’insolita composizione di amminoacidi di qualsiasi proteina salivare riflette le proprietà uniche di cui hanno bisogno per svolgere al meglio le molteplici specifiche funzioni della saliva.

Lo scopo di questo studio era analizzare la letteratura esistente sulle funzioni della saliva in generale e delle molecole specifiche a esse correlate.

FIG. 2 Funzioni della saliva e molecole correlate. PRP: proteine ricche di prolina; SLPI: inibitore della proteasi leucocitaria (2, 3, 6, 16, 18-20, 26, 30, 31, 40, 44, 50, 52, 55, 76, 77, 79, 82, 83, 87, 91, 101, 106, 111, 114, 117).

FUNZIONI DELLA SALIVA CORRELATE A SPECIFICHE MOLECOLE

Funzione antibatterica, antimicotica, antivirale

La saliva contiene un gran numero di proteine e peptidi di natura non immunologica che hanno dimostrato di avere effetti antibatterici, antimicotici e antivirali (16-18). Tuttavia, poiché è noto che la bocca contiene circa 700 specie diverse di microrganismi, è chiaro che questi fattori antimicrobici non sono presenti in concentrazione sufficiente per eliminare i componenti della normale flora. Per esempio, l’α-amilasi è un inibitore del Porphyromonas gingivalis, un batterio patogeno parodontale, ma questo organismo è in grado di sopravvivere nella bocca (19). Nella saliva sono presenti diverse proteine cationiche, tra cui le istatine, la staterina e le defensine. Le istatine più abbondanti sono l’istatina 1, 3 e 5 e inibiscono la crescita di Candida albicans, un fungo orale opportunista (20). La funzione primaria della staterina è quella di inibire la cristallizzazione del calcio fosfato dalla saliva, ma inibisce anche la crescita dei batteri anaerobi (16). Le defensine possono avere effetti sia antibatterici sia antivirali (21, 22). La saliva contiene anche un certo numero di agglutinine che facilitano la rimozione dei microrganismi mediante la deglutizione e possibilmente inibendo il loro attaccamento a superfici orali, la principale delle quali è la mucina MUC7. La lattoferrina è un chelante che ha un’elevata affinità per il ferro (Fe3+) e la rimozione di questo metallo essenziale inibisce l’attività metabolica di diversi microrganismi patogeni. Infatti, la lattoferrina, prodotta nelle cellule duttali intercalate, rende il ferro ferrico non disponibile come fonte di cibo per i microbi, come gli streptococchi cariogeni che hanno bisogno di ferro per rimanere vitali (23). Questo processo di deprivazione di nutrienti vitali per i batteri è noto come immunità nutrizionale. Inoltre, la lattoferrina mostra, a carico dello Streptococcus mutans, un effetto antimicrobico non correlato alla sua capacità di legare il ferro (24). Altre proteine salivari, come le cistatine (fosfoproteine contenenti cisteina) agiscono come inibitori della proteasi e le loro azioni inibiscono la capacità dei microrganismi di metabolizzare proteine salivari ad amminoacidi.  Il lisozima è un enzima che deriva dalle ghiandole salivari e danneggia le pareti cellulari microbiche idrolizzando il peptidoglicano della parete cellulare batterica. Da sottolineare che i batteri Gram-negativi sono più resistenti a questo enzima grazie alla funzione protettiva svolta dal loro strato esterno di natura lipopolisaccaridica.

FIG. 3 Funzioni della saliva non strettamente correlate a specifiche molecole. Tali funzioni sono state dedotte principalmente dall’insieme delle seguenti referenze riportate nella bibliografia: 55, 59, 64, 69-71, 75, 118.
FIG. 4 Principali famiglie di proteine/peptidi salivari secondo Carpeter (119). PRP: proteine ricche di prolina.

La saliva contiene due perossidasi, vale a dire la perossidasi salivare e la mieloperossidasi (25). Usando il perossido di idrogeno, sono in grado di convertire il tiocianato (SCN) salivare in ipotiocianuro (OSCN), un agente ossidante e antibatterico più potente rispetto al perossido di idrogeno. Nelle fessure gengivali infiammate, la mieloperossidasi è in grado di produrre ipoclorito (OCl), un agente ossidante e antibatterico chimicamente più potente che può causare danni ai tessuti (26).  A ogni modo, l’immuglobulina IgA secretoria (sIgA), è il principale componente immunologico della saliva, ed è prodotta dalle plasmacellule nei tessuti connettivi e traslocata attraverso il dotto cellulare delle ghiandole salivari maggiori e minori. Tuttavia, il significato funzionale di sIgA è incerto, infatti, persone con una carenza ereditaria di IgA non sembrano essere più suscettibili alle malattie orali, sebbene possano mostrare un aumento di IgM nella loro saliva (17).

Capacità tampone

La saliva si comporta come un sistema tampone per proteggere la bocca (27, 28), in particolare:

  1. previene la potenziale colonizzazione da parte di microrganismi patogeni, negando a essi l’ottimizzazione delle condizioni ambientali;
  2. neutralizza e rimuove gli acidi prodotti dai microrganismi della cavità orale, impedendo così la demineralizzazione dello smalto (29).

Tuttavia, è importante sottolineare che l’efficacia dei tamponi salivari dipende molto dallo spessore del biofilm e dalla carica batterica presente nella bocca (30).  Da considerare che comunque la capacità tampone della saliva, cioè la capacità di mantenere abbastanza invariato il pH orale (tra 6,0 e 7,4) si esplica attraverso i seguenti componenti: bicarbonato, fosfato, urea, proteine anfotere ed enzimi. Il sistema acido carbonico-bicarbonato è il tampone più importante nella saliva stimolata, mentre nella saliva non stimolata prevale il sistema tampone a base di fosfato, la cui concentrazione massima raggiungibile è intorno ai 10 mM (31). A valori elevati di flusso salivare la concentrazione del bicarbonato può raggiungere il valore di 60 mM, contribuendo così a neutralizzare direttamente l’acidità della placca (32).

L’urea, la principale sostanza che impartisce il gusto amaro nella saliva e rappresenta un importante componente anticariogenico, deriva dal catabolismo proteico e amminoacidico e, quando viene idrolizzata dall’ureasi dei batteri, produce una molecola di anidride carbonica e due molecole di ammoniaca, provocando un rapido aumento del pH a livello del biofilm (33). Sorprendentemente, bambini con insufficienza renale cronica, a causa dell’aumento dei livelli di urea salivare, di norma presentano meno carie rispetto ai bambini sani (34). Di contro, un eccesso di ammoniaca è potenzialmente citotossico per i tessuti gengivali e spesso rappresenta un fattore importante nell’iniziazione della gengivite poiché può aumentare la permeabilità dell’epitelio sulculare a una serie di sostanze tossiche o antigeniche, oltre a favorire la formazione di tartaro dentario (35). La restante, quasi trascurabile, capacità tampone della saliva, quella non derivante dal sistema acido carbonico-bicarbonato, è attribuita a proteine anfotere ed enzimi, in particolare a peptidi a basso peso molecolare, ricchi di istidina, quali le istatine (36).

Digestione

La saliva è responsabile della digestione iniziale dell’amido e del glicogeno e, in piccolissima parte, anche della componente lipidica, favorendo comunque la formazione del bolo alimentare (29, 37). La principale proteina e anche enzima digestivo della saliva è l’α-amilasi (1,4-α-D-glucan glucanoidrolasi), presente sotto forma di sei isoenzimi con un pH ottimale vicino alla neutralità e che possono scindere l’amido e il glicogeno in maltosio, maltotriosio, maltotetrosio e destrine. Questo enzima è considerato un buon indicatore delle ghiandole salivari correttamente funzionanti (29) rappresentando il 40-50% delle proteine presenti nella saliva. La maggiore parte di questo enzima (80%) è sintetizzata nelle parotidi e il resto nelle ghiandole sottomandibolari. Tuttavia, una volta ingerito, il bolo alimentare raggiunge lo stomaco e in questa sede l’enzima è inattivato a causa del basso valore di pH (circa 1,5) presente nel succo gastrico (30, 38). Bisogna aggiungere che, raggiunto l’intestino, sul bolo alimentare (chimo) agisce un’amilasi pancreatica che completa la degradazione dell’amido e del glicogeno dopo che il succo gastrico acido è stato neutralizzato dal bicarbonato secreto dal pancreas (39). Sebbene l’attività dell’α-amilasi possa fornire una piccola fonte di zuccheri ai microrganismi che colonizzano la bocca, contribuendo alla loro sopravvivenza, il ruolo principale dell’α-amilasi potrebbe essere quello di facilitare la dissoluzione dei residui di cibo contenenti amido o glicogeno trattenuti nella bocca dopo un pasto o uno spuntino, formando prodotti più solubili che si possono sciogliere nella saliva per essere inglobati nel bolo alimentare. Riguardo alla digestione della componente lipidica, uno specifico enzima, la lipasi linguale, è stato identificato per la prima volta nelle ghiandole sierose della lingua di ratto (40). Successivamente, un simile enzima è stato trovato nel contenuto gastrico delle persone affette da fibrosi cistica (41). Tuttavia, nel 1988, nello stomaco umano fu trovata una lipasi gastrica con un’attività considerevolmente maggiore rispetto alla lipasi linguale (42). Quindi, la lipasi linguale, sebbene apparentemente rilevante per il metabolismo lipidico nel ratto, non sembra essere di grande importanza nella digestione dei grassi nella specie umana, neanche durante l’infanzia (43). Infine, la saliva durante la fase iniziale della masticazione contribuisce alla formazione di un bolo alimentare coeso, ricoperto da una pellicola di mucine che facilita il processo della deglutizione, permettendo così il normale proseguimento delle fasi digestive.

Guarigione delle ferite

TAB. 1 Concentrazione dei fattori di crescita nella saliva e nel plasma (in ng/mL). Modificata da: Oudhoff MJ. Discovery of the wound-healing capacity of salivary histatins. PhD thesis. Amsterdam: Vrije Universiteit

Come altre parti del corpo, la bocca è suscettibile a ferite di vario tipo, che vanno dal morso della guancia all’estrazione del dente e in tali situazioni la saliva svolge un ruolo importante nella guarigione (44). Tuttavia, nonostante il fatto che la guarigione delle ferite della mucosa orale segua le stesse fasi della guarigione della pelle, c’è una chiara differenza: le ferite intraorali guariscono più velocemente e con meno formazione di cicatrici rispetto a quelle della pelle. In tale contesto la saliva crea un ambiente umido, che migliora la sopravvivenza e il funzionamento delle cellule infiammatorie che sono cruciali per la guarigione delle ferite. Inoltre, la saliva contiene una varietà di proteine che svolgono un ruolo nelle varie fasi della guarigione, in particolare le seguenti.

  1. Una serie di fattori di crescita (Tab. 1) che, innescando dei segnali a cascata (biosignalling), avviano processi che spesso si traducono nella migrazione, proliferazione e differenziazione delle cellule epiteliali, tutte attività fondamentali nelle fasi iniziali della guarigione delle ferite.
  2. L’inibitore della proteasi leucocitaria (SLPI), una delle proteine che migliorano la guarigione delle ferite inibendo la risposta infiammatoria.
  3. Il fattore 3 a trifoglio (TFF3) che migliora la resistenza meccanica e chimica dello strato di muco ed è coinvolto nell’omeostasi e nella rigenerazione della mucosa.
  4. Le istatine, una famiglia di peptidi ricchi di istidina presenti solo nella saliva dei primati superiori. È stato dimostrato che alcuni membri della famiglia delle istatine, in particolare l’istatina-1, sono in grado di stimolare la migrazione delle cellule epiteliali e dei fibroblasti, favorendo così il rimarginarsi della ferita (45). Da sottolineare che l’istatina in forma ciclica, non lineare, presenta un’attività biologica di circa 1.000 volte superiore rispetto all’istatina lineare (46). Gli analoghi delle istatine sembrano avere un potenziale clinico molto interessante. Ad esempio, un gel contenente tali analoghi potrebbe essere utilizzato nella cavità orale per favorire la guarigione della mucosite o per trattare le ulcere aftose.
  5. La leptina, un ormone antiobesità presente nella saliva (47) promuove la guarigione della ferita stimolando l’angiogenesi; tuttavia, è stato dimostrato che interferisce negativamente con la capacità rigenerativa delle cellule isolate dal legamento parodontale umano (48). 

Lubrificazione e protezione di mucosa orale ed esofago

Tale funzione salivare è dovuta principalmente alle mucine (proteine ad alto contenuto di carboidrati), glicoproteine che partecipano anche alla protezione contro disidratazione della cavità orale e al mantenimento della viscoelasticità salivare. Inoltre, modulano selettivamente l’adesione dei microrganismi alle superfici del tessuto orale, contribuendo al controllo della colonizzazione batterica e fungina e aiutando a proteggere questi tessuti dagli attacchi proteolitici da microrganismi. Da aggiungere che i meccanismi della masticazione, della parola e della deglutizione sono sostenuti dagli effetti lubrificanti di queste particolari proteine (38, 49, 50). Insieme alle mucine, la saliva in toto forma un rivestimento sieromucoso che lubrifica e protegge i tessuti orali contro diverse tipologie di agenti irritanti (28, 51, 52). Questi irritanti includono, ma non sono limitati a, enzimi proteolitici e idrolitici prodotti nella placca, potenziali cancerogeni derivanti dal fumo o da sostanze chimiche esogene ed essiccazione dalla respirazione della bocca. Sebbene la saliva sia composta per circa il 99% da acqua, un aspetto molto importante rispetto alla sola acqua è che la saliva contiene appunto anche le mucine, glicoproteine ad alto peso molecolare con una percentuale in peso di carboidrati che raggiunge il 50% del totale e che sono sintetizzate dalle ghiandole sottomandibolari e sublinguali e dalle ghiandole minori presenti nella mucosa palatale, buccale e labiale. Da sottolineare che le mucine non sono presenti nella saliva prodotta dalle parotidi o nelle secrezioni delle ghiandole di von Ebner. In ogni modo, nella saliva sono presenti due principali mucine, MUC5B e MUC7, la prima essendo di maggiore peso molecolare (52). Queste mucine formano un rivestimento viscido e viscoelastico esteso su tutte superfici nella cavità orale, proteggendole dalla disidratazione e, come accennato in precedenza, agiscono come un importante lubrificante durante processi come la masticazione, la fonazione e la deglutizione. Le mucine salivari, quindi, aiutano a proteggere la mucosa orale e anche l’esofago, lubrificando e ammorbidendo le superfici dei cibi duri che altrimenti tenderebbero a graffiare questi tessuti mentre gli stessi cibi vengono masticati e inghiottiti. Inoltre, le mucine salivari possono anche aiutare a ricostituire il rivestimento mucoso orale ed esofageo, dopo che lo stesso sia stato danneggiato, per esempio, da un reflusso gastro-esofageo. Infine, va sottolineato che, di solito, nella bocca è presente una quantità sufficiente di saliva in grado di tamponare gli effetti potenzialmente dannosi per la mucosa orale ed esofagea, per esempio quelli derivanti da  bevande molto calde o molto fredde. D’altra parte, a causa della bassa concentrazione di bicarbonato (circa 5 mM), la saliva non stimolata non ha una forte capacità tampone contro le sostanze acide. Oltre alle mucine, anche le cosiddette proteine ricche di prolina (PRP), insieme alle cistatine e alla staterina contribuiscono a proteggere la mucosa orale ed esofagea. In particolare, per la staterina è stato dimostrato che in determinate condizioni induce la transizione Candida albicans ife-lievito e ciò potrebbe avere un effetto protettivo sulla mucosa orale mantenendo il microrganismo sotto forma di lievito commensale (53). Inoltre, anche la staterina funziona come lubrificante dei denti, contribuendo a prevenire le scheggiature e l’usura dei denti durante la masticazione (54).

Protezione dentale

La saliva svolge molteplici ruoli nella protezione dei denti, infatti contrasta l’abrasione, l’attrito, l’erosione e la carie dentale. Tutti questi ruoli si basano, sostanzialmente e fondamentalmente, sul mantenimento dell’integrità fisico-chimica dello smalto dentale modulando la mineralizzazione e la demineralizzazione. I principali fattori che controllano la stabilità dello smalto, in particolare dell’idrossiapatite, sono le concentrazioni attive di calcio, fosfato, bicarbonato e fluoro in soluzione, nonché il pH salivare (55). In ogni caso, le concentrazioni di calcio e fosfato sono tali che in un ampio range di velocità di flusso salivare, tutta la saliva è sovrasatura rispetto all’idrossiapatite, il principale minerale dello smalto e della dentina (56). Da evidenziare che la concentrazione di calcio salivare non è influenzata dalla dieta. Tuttavia, malattie come la fibrosi cistica e alcuni farmaci come la pilocarpina causano un aumento dei livelli di calcio. A seconda del valore di pH, il calcio salivare può essere libero, cioè ionizzato sotto forma di Ca2+ o legato. Il calcio ionizzato è importante per l’equilibrio tra i fosfati di calcio dello smalto e il liquido adiacente. Il calcio non ionizzato può comunque legarsi a ioni inorganici (fosfato, bicarbonato, fluoruro), a piccoli ioni organici (citrato) e alle macromolecole (staterina, peptidi ricchi di istidina e proteine ricche di prolina). Un caso speciale è il forte legame del calcio con l’α-amilasi, dove agisce come un cofattore necessario per la funzione enzimatica (57). L’ortofosfato inorganico presente nella saliva consiste di acido fosforico (H3PO4) quindi di ione primario (H2PO4), secondario (HPO42-) e terziario (PO43-), specie chimiche le cui concentrazioni dipendono dal pH salivare e sono in equilibrio tra di loro secondo il seguente schema:

H3PO4  H2PO4 + H+  HPO42- + H+  PO43- + H+

pK1=2,1 pK2=7,2 pK3=12,1

Sebbene il fosfato nella saliva agisca da tampone contro un ambiente acido, la concentrazione di fosfato diminuisce quando il flusso salivare viene stimolato dall’acido e la concentrazione del fosfato diviene troppo bassa per svolgere il proprio effetto tampone. In ogni modo, come discusso in precedenza, il bicarbonato nella saliva agisce come un ottimo tampone, poiché la sua concentrazione aumenta notevolmente con l’aumentare del flusso salivare derivante dalle secrezioni delle ghiandole salivari principali (58), ma non delle ghiandole minori (59). Che un ambiente acido contribuisce alla demineralizzazione dello smalto dentale, lo si può spiegare in gran parte considerando che l’idrossiapatite [Ca10(PO4)6(OH)2] tende più facilmente a passare in soluzione (dissolversi) quando l’ambiente è più acido, cioè quando la concentrazione degli H+ è maggiore. Infatti, considerando il seguente equilibrio:

Ca10(PO4)6(OH)2  10 Ca2+ + 6 PO43- + 2 OH

Solida                    Disciolta

in presenza di un ambiente acido, gli OH reagiranno con gli H+, formando acqua (OH + H+  H2O), spostando quindi l’equilibrio verso destra, tanto più verso destra (dissoluzione), quanto maggiore è la concentrazione degli H+. In tale contesto la carie dentale inizia proprio con la dissoluzione acida del minerale dentale e viene portata avanti da microrganismi acidogeni della placca dentale che agiscono sui carboidrati fermentabili (60). Quando i carboidrati fermentabili come il saccarosio sono consumati, essi si diffondono nella placca dentale, dove certuni microrganismi possono convertirli in acido lattico e altri acidi organici. Ciò provoca una temporanea riduzione del pH della placca, seguita da un successivo aumento del pH a mano a mano che gli acidi si diffondono nel film salivare sovrastante con la concomitante produzione di qualche molecola che si comporta da base (61); come noto, questo tipico andamento di abbassamento e aumento del pH è meglio osservabile nella cosiddetta curva di Stephan.

La presenza di fluoro nella saliva, anche a livelli fisiologicamente bassi, è determinante per la stabilità dei minerali dentali. La sua concentrazione nella saliva è correlata al suo consumo e dipende dal fluoro presente nell’ambiente, soprattutto nell’acqua potabile. Durante un calo del pH del biofilm, la presenza di ioni fluoruro riduce la perdita della componente minerale del dente, poiché questi ioni rendono l’idrossiapatite dentale meno solubile e quindi più resistente alla demineralizzazione. Inoltre, è stato anche dimostrato che il fluoro riduce la produzione di acidi nel biofilm, contribuendo così a contrastare ulteriormente la carie dentale (62, 63).

FUNZIONI DELLA SALIVA NON STRETTAMENTE CORRELATE A SPECIFICHE MOLECOLE

Moistening (umettazione)

Una delle funzioni principali delle ghiandole salivari è quella di fornire un flusso continuo di saliva nella cavità orale per mantenere la mucosa in uno stato umido in modo che sia meno suscettibile ad abrasione, facilitando la rimozione dei microrganismi, delle cellule epiteliali desquamate, dei leucociti e anche dei residui di cibo durante il processo della deglutizione (64). Un flusso continuo di saliva non stimolata aiuta anche a prevenire l’infezione retrograda delle ghiandole salivari con microrganismi orali attraverso i dotti salivari (65). Da sottolineare che il grado di idratazione individuale è il fattore più importante che interferisce con la secrezione salivare (66). Quando il contenuto di acqua corporea si riduce dell’8%, il flusso salivare diminuisce virtualmente fino allo zero, mentre l’iperidratazione, come prevedibile, provoca un aumento del flusso salivare (67). Al contrario, durante la deidratazione, per conservare al loro interno l’acqua, le ghiandole salivari cessano di secernere saliva (67).

Gusto

La saliva è il mezzo per dissolvere le molecole che impartiscono il gusto del cibo e trasportarle alle papille gustative. Tuttavia, invece di agire come un semplice solvente acquoso, i componenti della saliva possono modificare il modo in cui vengono percepiti i gusti. La saliva stimolata da diversi sapori (piccante, amaro, acido, dolce ecc.) ha profili proteici diversi valutati mediante elettroforesi e spettrometria di massa (68) e diversi cibi o liquidi hanno dimostrato di incidere sulla composizione proteica della saliva influendo, eventualmente, sulla successiva percezione di stimoli amari o astringenti (69, 70). Va evidenziato che l’ipotonia della saliva migliora la capacità gustativa dei cibi salati e di altre fonti nutritive. Questa maggiore capacità di degustazione dipende dalla presenza di proteine, in particolare l’enzima salivare anidrasi carbonica VI, precedentemente noto come gustina, un enzima a zinco (71). Di certo, la sensazione del gusto può verificarsi solo mediante l’interazione di sostanze gustative in soluzione con recettori specifici presenti sulle papille gustative, anche se forse sarebbe più opportuno classificare tali recettori come chemiosensoriali, piuttosto che come gustativi. Il loro effetto nella stimolazione riflessa del flusso salivare è significativo alla luce della scoperta che i recettori del gusto amaro, espressi nelle vie aeree e nel tratto digestivo, agiscono come una seconda linea di difesa nell’espulsione di sostanze nocive dal corpo attraverso la tosse oppure il vomito. Quindi, vista come prima linea di difesa, la saliva, diluisce qualsiasi materiale immesso nella bocca e quelli con un sapore nocivo possono essere espulsi più agevolmente fuori dalla bocca prima che raggiungano il tubo digerente.

Olfatto

Gli aromi vengono rilevati dai recettori olfattivi presenti nel naso durante l’inalazione dell’aria contenente l’aroma stesso, ma anche attraverso la parte rinofaringea durante il processo della masticazione. Per i prodotti liquidi (72) come pure per quelli solidi (73) sono stati sviluppati modelli di rilascio degli odori durante il processo masticatorio e quindi successiva deglutizione. In questi studi si è visto che la saliva è molto coinvolta con la sua incorporazione nel bolo alimentare, con la sua azione di fusione con determinati alimenti, di riscaldamento o raffreddamento su altri, nonché con il suo ruolo nella liquefazione del cibo prima della deglutizione. Più lungo è il periodo di masticazione del bolo alimentare, più lungo sarà il tempo per il rilascio degli odori e maggiore sarà l’incorporazione della saliva, poiché il processo della masticazione e la stimolazione gustativa aumentano entrambi il flusso salivare in an modo additivo. Infatti, masticando una gomma aromatizzata si riscontra un flusso salivare più intenso e copioso rispetto alla masticazione di una gomma non aromatizzata (74). Va aggiunto che con un bolo alimentare più liquefatto aumenterà anche l’area di contatto tra il bolo e la mucosa orale e faringea, favorendo così il rilascio dell’odore.

Clearance

Differenze nelle velocità di clearance (rimozione/eliminazione) salivare dei carboidrati derivanti dal cibo, delle sostanze acide presenti nella placca, dei microrganismi e delle sostanze terapeutiche (per esempio fluoro), aiutano a spiegare le differenze nella suscettibilità alle malattie tra individui e tra i vari siti all’interno di una singola bocca. Attraverso la cavità orale, ogni giorno passano un gran numero di sostanze, alcune delle quali, come saccarosio o acidi, sono una minaccia per la salute della bocca, con i suoi caratteristici e unici tessuti molto vulnerabili. Altre sostanze, come il fluoro, possono agire da difesa, promuovendo l’igiene orale. A ogni modo, molte sostanze si dissolvono nella saliva, dalla quale poi si diffondono o reagiscono con i tessuti della cavità orale. Un primo effetto della saliva fresca appena secreta, insieme al processo della deglutizione, è quello di ridurre la concentrazione di sostanze esogene. Quindi, se da una parte la successiva rapida eliminazione (clearance) salivare delle sostanze nocive è benefica per la salute orale, dall’altra parte, per le sostanze protettive vale il contrario. Tra i diversi modelli per spiegare il meccanismo della clearance salivare, quello maggiormente adottato è il modello di Dawes (75), nel quale il processo della deglutizione viene equiparato all’azione costante di un sifone invertito ed è stato utilizzato per descrivere con notevole precisione la clearance di sostanze, compreso il saccarosio, che non si legano alle superfici orali. Altri studi hanno indicato che con alcune sostanze la clearance può avvenire in due stadi, uno rapido tramite la massa della saliva e uno più lento tramite le cosiddette zone di ristagno.

CARATTERISTICHE ESSENZIALI DELLE PRINCIPALI MOLECOLE CORRELATE ALLE FUNZIONI SALIVARI

Mucine

Le mucine sono glicoproteine ad alto peso molecolare con una struttura allungata e contribuiscono significativamente al comportamento viscoelastico della saliva. Le caratteristiche strutturali comuni includono un nucleo peptidico (apomucina) arricchito in residui di serina, treonina e prolina e catene laterali di carboidrati (oligosaccaridi oppure glicani) che sono legate attraverso un legame O-glicosidico alla treonina o alla serina. Gli O-glicani delle mucine salivari umane possono contenere galattosio (Gal), fucosio (Fuc), N-acetilgalattosammina (GalNAc), N-acetilglucosammina (GlcNAc) e acidi sialici (SA). Il solfato, se presente, è comunemente legato a Gal o GlcNAc. Inoltre, è stata riscontrata la presenza di un esiguo numero di N-glicani, cioè catene laterali oligosaccaridiche (glicani) legate a residui di asparagina. L’elevata percentuale di carboidrati riscontrabile in queste molecole fa sì che le mucine presentino una struttura proteica casuale, non ordinata, con una scarsa presenza di struttura secondaria ordinata (per esempio α-elica; β-foglietto). Studi sulle mucine delle ghiandole sottomandibolari derivanti da un’ampia varietà di specie hanno ripetutamente indicato la presenza di due mucine (52, 76), una a più basso peso molecolare (circa 250 kDa, la MUC7, nota in precedenza come MUC2, costituita da una singola subunità con circa 170 glicani, non forma gel) e una a più alto peso molecolare (circa 1×106 kDa, la MUC5B, nota in precedenza come MG1, costituita da subunità multiple con circa 300 glicani in tutto, forma gel). Tutti gli studi effettuati a tale riguardo, indicano che le due mucine sono effettivamente prodotti genici distinti che sono espressi in maniera cellulo-specifica.

Staterina

Le caratteristiche strutturali rilevanti della staterina, una piccola proteina non glicosilata, con solo 43 amminoacidi, sono un segmento di α-elica N-terminale collegato a un lungo segmento di poli-L-prolina di tipo II, seguito da una breve struttura estesa (77). Questa particolare struttura spiega la capacità della staterina di legare l’idrossiapatite. In particolare, la regione di legame con l’idrossiapatite è costituita dai residui amminoacidici N-terminali (Asp-fosfoSer-fosfoSer-Glu-Glu) e da Glu-26, che sono raggruppati insieme nello spazio. I residui di fosfato presenti sulle catene laterali degli amminoacidi favoriscono il legame allo smalto. Inoltre, la mancanza di una ben definita struttura proteica e l’aggregazione invece orientata di diverse molecole di staterina sulla superficie dello smalto, forniscono un film anfipatico che è responsabile in gran parte di una particolare caratteristica fornita della staterina, cioè del suo effetto lubrificante (77). La staterina ha origine sia dalle parotidi che dalle ghiandole sottomandibolari. Nonostante il fatto che molte proteasi orali derivanti dai microrganismi della cavità orale possono degradare la staterina, la molecola inibisce la precipitazione dei fosfati di calcio. In vivo, tuttavia, la concentrazione di staterina è sufficientemente alta da agire come inibitore della precipitazione spontanea dei sali di calcio in generale (78) e ciò aiuta la maturazione e la rimineralizzazione dello smalto. Infatti, la saliva umana è supersatura rispetto alla maggior parte dei sali di fosfato di calcio, ma le proteine salivari come le proteine ricche di prolina (PRP) e la stessa staterina, sono importanti nell’inibire la precipitazione spontanea di questi sali affinché si possa mantenere lo stato sovrasaturo (79, 80). Inoltre, come le proteine ricche di prolina (PRP), anche la staterina può favorire l’adesione di Actinomyces viscosus alle superfici dei denti, ma come accennato in precedenza, inibisce la crescita dei batteri, in particolare gli anaerobi (16).

Proteine ricche di prolina (PRP)

Le proteine ricche di prolina, o proline rich proteins (PRP), sono le principali componenti della saliva prodotta dalle ghiandole parotidi (70%) e sottomandibolari, nell’uomo come in altri animali. Esse sono apparentemente sintetizzate nelle cellule acinose delle ghiandole salivari e la loro espressione fenotipica è sotto un controllo genetico abbastanza complesso.  Le PRP sono altamente polimorfiche e sebbene siano codificate da soli sei geni, esistono più di 50 diverse isoforme, principalmente a causa dei riarrangiamenti genici, ma anche a causa di alcune modifiche post-secretorie. Il risultato è una grande varietà di proteine non solo tra individui, ma anche all’interno dello stesso individuo in tempi diversi dello stesso giorno (a causa del contributo delle diverse ghiandole). Le PRP si possono suddividere in proteine acide (24-27% di proline), basiche (circa 40% di proline) e glicosilate (circa 40% di glicani; circa 37% di proline). La struttura primaria delle proteine acide ricche di prolina è unica e mostra che queste proteine non appartengono a nessuna delle famiglie conosciute di proteine e in nessuna è presente la tirosina. Tuttavia, le PRP legano il calcio con una forza tale da indicare che potrebbero essere importanti nel mantenere la concentrazione di calcio ionico nella saliva e sono in grado di legare l’idrossiapatite, inibendone la formazione, per cui in vivo può essere evitata la crescita di cristalli di idrossiapatite sulla superficie del dente. Tutte queste attività, così come il sito di legame per l’idrossiapatite, sono localizzate nella parte N-terminale della proteina, una parte povera di proline. Invece, poco si sa circa le funzioni delle PRP basiche e glicosilate.

Lattoferrina

La lattoferrina (peso molecolare: 80 kDa) è una glicoproteina non enzimatica che viene secreta dalle ghiandole salivari, maggiori e minori. Anche i leucociti presenti nella cavità orale sono in grado di rilasciare lattoferrina nella saliva. L’attività biologica della lattoferrina è attribuita alla sua elevata affinità per il ferro (Fe3+; due siti di legame) e quindi alla conseguente privazione, dal mezzo di crescita, di questo metallo essenziale per tutti i microrganismi tra cui anche quelli patogeni. Ciò porta a un effetto batteriostatico che si perde quando la molecola di lattoferrina diviene satura di ferro. Nel suo stato privo di ferro, la lattoferrina (detta apo-lattoferrina) ha anche un effetto battericida irreversibile nei confronti di vari batteri orali. Questo effetto letale richiede il legame diretto dell’apo-lattoferrina ai batteri e non viene bloccato dal ferro in eccesso. Kuwata e collaboratori (81) hanno dimostrato che la molecola di lattoferrina presenta domini con attività antimicrobica (chiamati lattoferricine) che possono essere rilasciati dall’ospite o dalle proteasi microbiche. Inoltre, sono stati identificati frammenti peptidici che inibiscono l’aderenza di Streptococcus mutans all’idrossiapatite. È probabile che i domini di lattoferricine derivanti dalla lattoferrina vengano rilasciati nel tratto gastrointestinale durante la digestione della lattoferrina e ciò supporta l’idea che anche le proteine salivari possano essere coinvolte nell’effetto antimicrobico a protezione del tratto gastrointestinale superiore (81). Inoltre, la lattoferrina, oltre ad avere proprietà batteriostatiche e battericide, presenta anche attività fungicida, antivirale e antinfiammatoria.

Lisozima

Il lisozima (peso molecolare: 14,4 kDa) è secreto dalle ghiandole salivari maggiori e minori, nonché dal liquido gengivale crevicolare e dai leucociti salivari. Il lisozima è presente nella saliva dei neonati in concentrazione simile a quella degli adulti e può quindi esercitare funzioni antimicrobiche prima che il dente emerga. Il concetto classico di azione del lisozima si basa sulla sua attività muramidasica, cioè la capacità di idrolizzare il legame β(1-4) tra l’acido N-acetilmuramico e l’N-acetilglucosammina, presente nello strato di peptidoglicano che forma la parete cellulare batterica. A causa della loro protezione esterna offerta da uno strato di lipopolisaccaride, i batteri Gram-negativi sono più resistenti al lisozima (82). Tuttavia, anche i batteri Gram-positivi come lo Streptococcus mutans, possono essere in parte protetti da polisaccaridi extracellulari prodotti dalle cellule. In aggiunta all’attività detta muramidasica, il lisozima è una proteina fortemente cationica che può attivare le cosiddette autolisine batteriche capaci di distruggere esse stesse le pareti cellulari batteriche. Da sottolineare che la concentrazione salivare del lisozima (circa 29 mg/mL nella saliva non stimolata e circa 23 mg/mL nella saliva stimolata) non è correlata all’incidenza o alla prevalenza della carie. Da aggiungere che il lisozima promuove la clearance dei batteri favorendo la loro aggregazione.

Perossidasi

Nella saliva sono presenti due isoforme di perossidasi: la salivare (a volte chiamata sialoperossidasi) e la mieloperossidasi. La prima è secreta dalle parotidi dalle sottomandibolari, la seconda deriva dai leucociti che si riversano nella bocca principalmente attraverso le fessure gengivali. In tutta la saliva la proporzione dell’attività mieloperossidasica varia dal 30 al 75% dell’attività perossidasica totale a seconda dell’estensione dei siti infiammati nei tessuti parodontali e delle mucose (83). Entrambi gli enzimi catalizzano l’ossidazione degli ioni tiocianato salivare (SCN), da parte dell’acqua ossigenata (H2O2) a un componente antibatterico, l’ipotiocianuro (OSCN) (84), secondo la seguente reazione:

H2O2 + SCN  OSCN + H2O

A pH < 6, l’acido ipotiocianoso (HOSCN) è la principale forma di ossidazione ed è un agente contro i microrganismi ancora più potente della forma ionica. Le specie chimiche OSCN/HOSCN sono normali componenti dell’intera saliva umana e del fluido della placca e nei soggetti predentati esistono già a concentrazioni adulte. Le perossidasi salivari hanno due funzioni principali: un’attività antibatterica da parte della coppia OSCN/HOSCN e la protezione delle proteine e delle cellule dalla tossicità dell’H2O2. Naturalmente, queste attività dipendono dalla concentrazione di OSCN/HOSCN, dal pH e anche dal tempo di esposizione.  È interessante notare che se gli ioni SCN vengono sostituiti da ioni ioduro (I) (o se gli ioni I sono in grande eccesso), il sistema perossidasi/I/H2O2 è molto più potente contro gli anaerobi orali e gastrointestinali (come Helicobacter pylori) di quanto non lo sia l’ipotiocianuro (85). Poiché l’H2O2 è costantemente generata dall’attività dei batteri aerobici e, in quanto tale, è tossica per le cellule della mucosa e delle gengive (86), la saliva fornisce perossidasi per consumare l’H2O2 mediante la perossidazione. In aggiunta, anche la catalasi rilasciata dai batteri può distruggere l’eccesso di H2O2.

Istatine

Le istatine sono una famiglia di peptidi cationici, ricchi di istidina, con un peso molecolare di 3-4 kDa, presenti solo nella saliva dei primati superiori e, fino a ora, non sono state identificate in altri tessuti (87). In base alla loro struttura, alle istatine sono state attribuite molte funzioni, tra cui l’attività antibatterica, antimicotica e antinfiammatoria, la disintossicazione e, infine, la remineralizzazione dei denti. Esse sono secrete dalle ghiandole parotidi e sottomandibolari. I membri più abbondanti della famiglia sono le istatine 1, 3 e 5, quest’ultima derivante da una modifica post-traduzionale dell’istatina-3. Di recente è stato osservato che le istatine sopprimono la formazione del radicale idrossilico (OH·) attraverso la classica reazione di Fenton, in una maniera dose-dipendente, esibendo quindi anche una interessante attività antiossidante (88). Le istatine mostrano un’attività antimicotica nei confronti di un’ampia gamma di patogeni compresi Cryptococcus neoformans e Aspergillus fumigates; inoltre, come accennato in precedenza, in vitro l’istatina-5 mostra una forte attività inibitoria nei confronti della crescita di Candida albicans, un fungo orale opportunistico (27).  Alle istatine vanno riconosciute anche proprietà antibatterica nei confronti di varie specie presenti nella cavità orale (89). Inoltre, a causa dell’elevato contenuto di istidina, le istatine sono in grado di complessare ioni di rame e di zinco, ma a oggi non è stata ancora assegnata una chiara funzione biologica per questa proprietà. Da notare che le istatine rappresentano i principali fattori che contribuiscono alla guarigione della ferita osservata nella cavità orale e in maniera molto rapida (45). Inoltre, e in particolare, rispetto a una pasta di matrice dermica acellulare capace di riparare le ferite da ustione e di promuovere l’angiogenesi, nonché l’adesione e la migrazione dei fibroblasti, l’istatina-1 è risultata più efficace nel promuovere la guarigione delle ferite in generale (90). Come altre proteine salivari fosforilate, l’istatina-1 è anche un componente della pellicola acquisita dello smalto (91).

α-Amilasi salivare

L’α-amilasi salivare è una proteina monomerica in grado di legare il calcio ed è composta da una singola catena polipeptidica costituita da 496 residui amminoacidici (92). È l’enzima salivare più abbondante, rappresentando circa 40-50% delle proteine totali prodotte dalle ghiandole salivari. Circa l’80% di α-amilasi ha origine dalle ghiandole parotidi, il resto dalle ghiandole sottomandibolari. Il ruolo biologico dell’amilasi consiste nello scindere l’amido (una miscela costituita per circa il 75% da amilopectina e circa il 25% da α-amilosio) e anche il glicogeno in maltosio, maltotriosio, maltotetrosio e destrine. Inoltre, una mole di maltosio può essere scissa dai batteri orali in due moli di glucosio. Da sottolineare che l’α-amilasi salivare aiuta a eliminare i residui di cibo (contenenti amido o glicogeno) dalla bocca; interagisce anche con specifici batteri orali modulando, per alcuni, la loro adesione alla pellicola. Una volta raggiunto l’ambiente acido dello stomaco, l’α-amilasi salivare viene inattivata, mentre l’α-amilasi pancreatica, rilasciata a livello intestinale, completa la degradazione dell’amido (oppure glicogeno) dopo che il bolo alimentare acido, di origine gastrica, è stato neutralizzato dal bicarbonato secreto dal pancreas (39).

Cistatine

Le fosfoproteine contenenti cisteina, le cistatine, sono ubiquitarie, essendo presenti in un’ampia gamma di fluidi corporei e tessuti (93, 94), ma pare che non siano presenti nella saliva prodotta dalle parotidi. Sono proteine da considerarsi protettive, in quanto inibiscono proteolisi improprie. Tra le varie isoforme di cistatine, la cistatina C mostra la maggiore attività inibitoria verso le proteasi. Inoltre, è interessante portare in evidenza che la cistatina C salivare può essere utilizzata come marker biochimico per la malattia cronica renale (95). Comunque, in generale, l’azione principale delle cistatine potrebbe essere quella di inibire alcune catepsine lisosomiali, proteasi coinvolte nella distruzione del tessuto parodontale, quindi svolgere un ruolo fondamentale nella patogenesi della malattia parodontale (96). Considerando la bocca, le cistatine sono presenti sia nella saliva che nella pellicola dove possono inibire selettivamente le proteasi provenienti da batteri e/o da leucociti. In ogni modo, come le proteine ricche di prolina, anche le cistatine mostrano proprietà multifunzionali come quella antibatterica e antivirale.

Defensine

Le defensine sono piccole proteine cationiche costituite, a seconda della specifica isoforma, da 18-45 amminoacidi, ricche di cisteina (6-8 residui, quindi 3-4 ponti disolfuro) che si trovano sia nei vertebrati che negli invertebrati, ma anche nelle piante e nei funghi (97). In generale sono attive contro batteri, funghi e virus. La maggior parte delle defensine funziona penetrando nella membrana cellulare del microbo sfruttando un’attrazione elettrostatica e, una volta incorporate, formano un poro nella membrana che depolarizza la membrana e porta a lisi cellulare.

Le α-defensine sono espresse principalmente nei neutrofili così come nei macrofagi e nelle cellule di Paneth dell’intestino (dove aiutano a mantenere il corretto equilibrio del microbiota). Le β-defensine sono le più ampiamente distribuite, essendo secrete dai leucociti e dalle cellule epiteliali di vario genere. Per esempio, possono essere trovate a livello delle ghiandole salivari, della lingua, dell’esofago, del tratto respiratorio, ma anche sulla pelle, sulla cornea, nei reni. Pertanto, diversamente dalle α-defensine, le β-defensine contribuiscono a creare una barriera protettiva sulle superfici delle mucose comprese quelle della cavità orale, la lingua, le vie aeree nasali e intrapolmonari, nonché l’intestino tenue (98). Le θ-defensine sono peptidi ciclici costituiti da 18 residui amminoacidici, molto rari e a oggi sono state trovate solo nei leucociti di un macaco rhesus (Macaca mulatta) e del babbuino d’oliva (Papio anubis) (99).

Catelicidine

Le catelicidine sono piccoli peptidi, cationici, presenti nell’uomo e in altre specie, inclusi gli animali da fattoria (bovini, cavalli, maiali, pecore, capre, galline, conigli e in alcune specie di pesci). Questi peptidi attivati proteoliticamente fanno parte del sistema immunitario innato di molti vertebrati. Nonostante l’esistenza di una grande quantità, nel genoma umano, di geni per la β-defensina (100, 101), uno solo, quello della catelicidina (CAMP), è stato identificato nell’uomo. CAMP codifica per il peptide LL-37 che presenta due residui leucina all’estremità N-terminale, ed è lungo 37 residui amminoacidici (il che spiega l’abbreviazione LL-37), con un peso molecolare di 18 kDa (102). Le catelicidine possono derivare sia dai neutrofili che dalle ghiandole salivari e svolgono molteplici attività antimicrobiche, con ruoli vitali nella guarigione delle ferite, nell’immunomodulazione e nell’angiogenesi (50, 103).

I fattori di crescita

I fattori di crescita sono stati originariamente scoperti e caratterizzati nella saliva e nelle ghiandole salivari dei roditori (104, 105). Successivamente, è stato dimostrato che la saliva umana contiene fattori di crescita simili. Questi fattori di crescita sono molecole segnale che avviano un’ampia varietà di processi intracellulari, incluse la divisione e la migrazione cellulare. Negli ultimi decenni nella saliva umana è stato identificato un numero considerevole di fattori di crescita (Tab. 1). Alcuni di questi fattori di crescita sono presenti in concentrazioni che hanno attività biologica in vitro, e quindi potenzialmente potrebbero svolgere un ruolo fisiologico nella guarigione delle ferite orali. Questi comprendono, tra gli altri, il fattore di crescita epidermico (EGF), il fattore di crescita trasformante-α (TF-α) e il fattore di crescita dell’endotelio vascolare (VEGF) (106, 107), quest’ultimo, derivante dalle ghiandole sottomandibolari, è una proteina multifunzionale che, tra l’altro, stimola l’angiogenesi. La concentrazione di questo fattore di crescita aumenta nella saliva dei pazienti con parodontite, il che suggerisce un possibile ruolo nella guarigione dei tessuti parodontali (108). Inoltre, la saliva contiene piccole quantità di altri fattori di crescita e anche dell’insulina, probabilmente a causa della fuoriuscita di siero nella cavità orale.

Inibitore della proteasi secreta dai leucociti (SLPI)

La saliva contiene anche diverse proteine che migliorano la guarigione delle ferite inibendo la risposta infiammatoria. Un esempio è l’inibitore della proteasi secreta dai leucociti (SLPI), un inibitore enzimatico fisiologico originariamente isolato dalla saliva derivante dalla parotide umana. L’SLPI è presente nella maggior parte delle secrezioni mucose, compreso il muco bronchiale, nasale e cervicale, la saliva e anche il plasma seminale (89). È una proteina multifunzionale che inibisce un gran numero di enzimi che degradano le proteine, tra cui elastasi, tripsina e catepsina. Inoltre, seppure in maniera limitata, mostra attività anti-HIV, antinfiammatoria e antimicrobica (109). L’inibitore della proteasi dei leucociti secretori umani (SLPI) è una proteina cationica di 11,7 kDa e un membro delle proteine associate all’immunità innata. È un polipeptide a catena singola, non glicosilato, altamente basico, acido-stabile, ricco di cisteina (110).

Peptidi a trifoglio

Un’altra proteina importante per la guarigione delle ferite orali è il fattore 3 a trifoglio (TFF3), un componente della famiglia dei peptidi con un dominio strutturale comune, a forma di trifoglio vale a dire una struttura composta da 42-43 residui amminoacidici contenente tre ponti disolfuro conservati che danno luogo a tre loop (111). I peptidi a trifoglio sono abbondantemente presenti su quasi tutte le superfici mucose del corpo umano, compresa la cavità orale, il tratto gastrointestinale, la cistifellea, il pancreas, i polmoni e la cervice (89). Migliorano la resistenza meccanica e chimica dello strato di muco e sono coinvolti nell’omeostasi e nella rigenerazione della mucosa. La forma compatta dei peptidi trifoglio li rende notevolmente resistenti alla degradazione proteolitica. Il fattore 3 trifoglio è l’unico membro della famiglia dei peptidi trifoglio presente nella saliva. Il TFF3, secreto dalle ghiandole sottomandibolari e sublinguali, facilita la chiusura della ferita in modo dose-dipendente. 

Leptina

La leptina, il prodotto del gene ob (obese), è un polipeptide antiobesità di circa 16 kDa (167 residui amminoacidici), non glicosilato, di natura ormonale, prodotto e secreto principalmente dai tessuti adiposi e dagli enterociti dell’intestino tenue (112). Fondamentalmente influenza l’omeostasi del peso corporeo attraverso i suoi effetti sull’assunzione di cibo e sul dispendio energetico mediante feedback negativo a livello dei nuclei ipotalamici (113). Come accennato in precedenza, è stato dimostrato, tra l’altro, che la somministrazione locale di leptina potrebbe anche favorire la guarigione delle ferite nella mucosa orale (114). Questi risultati suggeriscono fortemente la possibilità che la leptina possa essere un potenziale medicinale per promuovere la guarigione delle ferite sia a livello dell’epidermide sia a livello delle mucose.

Lipasi linguale

La scoperta nel 1973 della lipasi linguale, che è secreta dalle ghiandole sierose linguali e idrolizza i trigliceridi a catena media e lunga nello stomaco, ha rinnovato l’interesse per la fase gastrica della digestione dei grassi. Nell’uomo, tale lipasi è presente nelle ghiandole sierose (von Ebner) della lingua, dove è depositata sotto forma di granuli di zimogeno (115). La lipasi umana purificata dalle ghiandole sierose linguali o dal succo gastrico ha un peso molecolare tra 45 kDa e 51 kDa, ma tende ad aggregarsi sotto forma di circa 6-10 subunità ed è altamente idrofoba. È stato suggerito che i prodotti della lipolisi gastrica mantengano la sterilità del tratto gastrointestinale. In ogni modo, questi enzimi sono essenziali per la digestione della componente lipidica, specialmente quella presente nel latte materno, poiché, contrariamente ad altre lipasi digestive (lipasi pancreatica o digestiva del latte), la lipasi linguale e quella gastrica possono penetrare nel globulo di grasso del latte e avviare il processo digestivo. Un’aumentata attività della lipasi sia linguale sia gastrica è stata riscontrata in soggetti con fibrosi cistica e in questi pazienti sembra continuare nell’intestino tenue superiore, forse sostituendo parte della lipasi pancreatica che scarseggia o che manca (116). È possibile che gli integratori contenenti le lipasi, linguale e gastrica, siano più efficaci nella prevenzione della steatorrea in questi pazienti rispetto agli integratori di enzimi pancreatici ora somministrati. La stessa utilità terapeutica potrebbe essere ottenuta in pazienti con insufficienza pancreatica alcolica.

Conclusione

Le numerose funzioni della saliva e delle specifiche molecole a esse correlate, mostra chiaramente l’alacrità di questo importante biofluido orale, che va oltre la sola funzione “antimicrobica” (quella maggiormente citata e trattata), sia dei peptidi che dei componenti antimicrobici. L’auspicio è che una più approfondita conoscenza delle molteplici funzioni della saliva e delle molecole a esse correlate possa aiutare maggiormente i professionisti della salute dentale nel trattamento dei pazienti.

Conflitto di interesse

L’autore dichiara nessun conflitto di interesse.  Il presente studio è stato finanziato con fondi RIA 2020 (MIUR, Roma).

ABSTRACT

Aim The main purpose of this study was to perform a review of the literature on the functions of saliva in general and of the related specific molecules.
Materials and methods PubMed database was primarily searched using the following MeSH terms: salivary functions, salivary composition, salivary proteins, salivary proteome, salivary peptides, salivary peptidomic. Regardless of their publication date, all the studies deemed most relevant and responsive to the topic dealt with in this review were taken into consideration. Furthermore, from a Google search, using the same MeSH terms, books or book chapters were taken into consideration and added to the references.
Results From the analysis of the literature, eight main functions of saliva, and for each one a group of related molecules, were highlighted. Furthermore, four more functions of saliva were reported, not strictly related to specific molecules.
Conclusion Saliva is a remarkably complex fluid with a huge number of properties and functions that are essential for oral and general health. The functions of saliva and related specific molecules clearly reveal the importance of this oral biofluid that goes far beyond either the antimicrobial function (the most mentioned one) and peptides and antimicrobial components. The aim of this literature review is to highlight that a deeper knowledge of the multiple functions of saliva in general and of the molecules related to them, can support dental professionals in the treatment of their patients.

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