Il tranello della compiacenza

Piramide dei bisogni di Maslow
FIG. 1 Piramide dei bisogni di Maslow (1954).

Relazionarsi efficacemente, sviluppare senso di identità e appartenenza a un contesto lavorativo costituiscono bisogni umani irrinunciabili.
La qualità e la gestione dei rapporti interpersonali dipendono dalla nostra personalità. È possibile definire la personalità come un insieme di pattern, più o meno stabili, di pensare (i nostri valori, i nostri ideali e la percezione di noi stessi), sentire e relazionarsi con gli altri.

Anche l’Igienista Dentale può non essere scevro da tale necessità e ricerca in questi bisogni la volontà di sentirsi parte di un sistema con alcuni valori, piuttosto che di essere apprezzato per il proprio lavoro, attraverso stima personale e riconoscimento.

Lo psicologo statunitense Abraham Maslow, esponente della corrente umanistica, li colloca nei bisogni psicologici di tipo sociale, non indispensabili per la sopravvivenza dell’individuo, ma appena successivi a quelli primari (1) (Fig. 1).

Piramide dei bisogni di Maslow
FIG. 1 Piramide dei bisogni di Maslow (1954).

Tali occorrenze per alcuni rientrano nei cosiddetti bisogni di affiliazione, che vedono lo sviluppo del concetto di affinità, amicizia, affetto e appartenenza, o, per altri, nei bisogni di stima che si esplicano nelle idee di autocontrollo, rispetto reciproco, autostima.

Nel dettaglio si può dire che i primi rispondono all’esigenza di sentirsi amati e accettati, di far parte di un gruppo, di cooperare, di partecipare e rappresentano quindi l’aspirazione di ognuno di noi a essere un elemento della comunità. I secondi, invece, esprimono l’urgenza di sentirsi rispettati, approvati, riconosciuti, condizioni in cui l’individuo vuole sentirsi competente e produttivo.

Chi riconosce di aver particolare necessità di soddisfare i bisogni sociali, può vivere situazioni ove ricerca l’approvazione altrui per sentirsi competente. Substrato di questa condizione è spesso sotteso a uno scarso senso di autoefficacia, insicurezza, bassa autostima, ove l’individuo trova la propria autorealizzazione solo se questa suscita l’altrui considerazione e apprezzamento.

A tale scopo, talvolta, il bisogno è talmente forte da porre questa esigenza sopra ogni altra cosa, tanto da esprimerlo attraverso comportamenti compiacenti.

Cos’è la compiacenza?

Si definisce compiacenza l’atteggiamento eccessivamente accomodante con tratti di sottomissione nei confronti degli altri, messo in atto per il bisogno di essere accettati o per il timore di non riscuotere sufficiente stima e affetto.

Si allinea a una sorta di conformismo sociale, ovvero a una tendenza all’adesione acritica a idee, valori e aspirazioni dominanti nel gruppo sociale di riferimento (2). In questo senso il termine possiede un’accezione negativa, che fa riferimento al fatto che, pur di sottendere al proprio benessere, il soggetto si abbandoni a negare un comportamento più adeguato al fine di soddisfare se stesso.

Gli aggettivi “eccessivamente accomodante” e “visione acritica” qualificano, infatti, una passivizzazione dell’individuo, strumentale a ottenere un risultato, che non è detto sia funzionale allo scopo per cui ci si trovi a interloquire. Condizione che, se a lungo agita, non può che condurre a esiti poco positivi della relazione. Fondamentale sarebbe che l’Igienista Dentale si renda conto se e quando agisce con compiacenza; ovvero è importante che porti alla consapevolezza situazioni critiche, eventi passati o esperienze recenti che lo hanno condotto a comportarsi in modo compiacente, non da ultimo comprendere quali effetti questo ha prodotto nella vita lavorativa.

Si provi ora ad analizzare qualche scenario esemplificativo ove entra in gioco la compiacenza nel setting professionale.

  • Con il titolare di studio:
    – «Dottoressa si fermerebbe oltre l’orario di lavoro per fare degli straordinari?»
    – «Certamente, sono operativa!» pensiero interno: “…anche se devo rimandare quella cena…”.
  • Con il collega del team:
    Non sono stati eseguiti i richiami dei miei pazienti e oggi sono saltati 3 appuntamenti: evito di sollevare la questione perché tutti possono sbagliare.
  • Con il paziente:
    – «Guardi, dottore, non mi chieda se ho utilizzato il filo interdentale, perché non si immagina nemmeno che periodo abbia attraversato»
    – «Capisco, signor Rossi, i traslochi annientano anche me».

Come si nota le situazioni e gli interlocutori sono differenti, ma alla base del comportamento compiacente c’è la necessità di “piacere”, di “non deludere” le aspettative altrui.

Compiacére (dal lat. complacēre, composto di con- e placēre «piacere»), letteralmente “piacere con…”, ovvero condividere il piacere con qualcun altro. Si tratta, per meglio dire, di provare un sentimento di piacere (o, per lo meno, dare l’impressione di provarlo) all’idea di accontentare qualcuno, appagandone i desideri. Condividere, ma non sposando la causa intrinsecamente.

Parallelamente a questo significato generale è necessario specificare altri atteggiamenti che possono essere erroneamente affiancati alla compiacenza, e che quindi necessitano di ulteriori precisazioni. Queste sono la condiscendenza e l’acquiescenza.

La condiscendenza si manifesta nei processi decisionali con astensione dal giudizio e semplice esecuzione di quanto viene richiesto da chi è gerarchicamente più potente, che può assumere atteggiamenti implicitamente minacciosi oppure benevoli per controbilanciare i costi della risposta (per esempio, l’igienista indica al paziente la necessità che utilizzi lo scovolino e paziente condiscende con poca motivazione e su un piano esclusivamente estrinseco più per senso del dovere – il soggetto agisce perché deve, per vincolo o onere).
In ogni caso anche questa volta sembrerebbe che chi condiscende non lo faccia con particolare convinzione, anzi si adatti nel comportamento con una certa remissività perché si sente in obbligo di fronte all’autorità.

L’acquiescenza induce i soggetti a rispondere nel modo socialmente approvato, indipendentemente dalla propria opinione, ovvero si tratta di un atteggiamento tipico che si accomuna al conformismo, agito per mostrarsi più adeguati agli occhi altrui, rispondendo al criterio della desiderabilità sociale (per esempio, il paziente utilizza lo scovolino senza partecipazione attiva anche in questo caso con motivazione estrinseca – il soggetto agisce perché è giusto, per non ledere la propria immagine).

Il consiglio pratico

Compiacenza è un termine che in inglese di traduce con compliance, che ultimamente la letteratura odontoiatrica in tema di motivazione al paziente ha abbandonato, in virtù proprio del fatto che con questo significato porta con sé un valore passivo per cui questi non sia genuinamente convinto dei contenuti dello scambio comunicativo con il clinico, quanto piuttosto li subisca con sudditanza o indifferenza. Per la stessa ragione si è visto come anche condiscendenza e acquiescenza non siano appropriate. Il comportamento si può invece ritenere funzionale quando la persona mostra una genuina aderenza (il paziente utilizza lo scovolino perché fermamente convinto che sia utile per se stesso e la sua salute – il soggetto agisce perché crede, con motivazione intrinseca). Il soggetto appoggia sentitamente quanto viene suggerito da altri, in qualità di individuo responsabile in primis verso di sé e la sua salute, termine che in inglese si può tradurre con adherence, ovvero piena adesione al trattamento/prescrizione indicata.

Altresì anche da parte dell’Igienista Dentale è utile comportarsi con aderenza, per non incappare nelle difficoltà relazionali e personali di cui sopra. Tuttavia, talvolta può essere utile fare uso non tanto della compiacenza, quanto più della condiscendenza e dell’acquiescenza in modo strumentale. Qualora il clinico si rendesse conto che, nell’esporre le proprie opinioni, non dovesse essere accolto, potrebbe far ricorso a questi due atteggiamenti per tre finalità (3).

  1. Non alimentare un probabile rischio di conflitto: rispondere al conflitto con aggressività non è funzionale al contesto lavorativo, ma più alla mera autoaffermazione di sé. Il conflitto ha un senso solo se viene leso in modo importante e perdurante un proprio diritto (perché “non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”).
  2. Mostrare al paziente di considerare il suo punto di vista: il tentativo preliminare di appoggiare l’altro può essere finalizzato a creare un clima di fiducia relazionale ed evitare chiusura. Ciò significa considerare il punto di vista dell’altro senza necessariamente avallarlo, ma accogliendolo come una difficoltà personale che può essere successivamente superata, in quanto l’interlocutore in quel momento può non essere pronto a ricevere un parere differente. Significa metaforicamente “diamoci del tempo per pensarci su”, come se fosse una opzione in cui ci si ascolta e si sospende il tempo del giudizio per prepararsi a un passo successivo.
  3. Provare benessere sul lavoro e preservare la propria integrità: le situazioni di tensione richiedono molte energie orientate al controllo situazionale. Dare libero sfogo alle proprie pulsioni potrebbe provocare conseguenze spiacevoli, difficili poi da gestire, ma autocontrollarsi vede un dispiego di forze di grande entità, che alla lunga possono “consumare” il soggetto.

condiscendenza

La condiscendenza si manifesta nei processi decisionali con astensione dal giudizio e semplice esecuzione di quanto viene richiesto da chi è gerarchicamente più potente, che può assumere atteggiamenti implicitamente minacciosi oppure benevoli per controbilanciare i costi della risposta.

acquiescenza

L’acquiescenza induce i soggetti a rispondere nel modo socialmente approvato, indipendentemente dalla propria opinione, ovvero si tratta di un atteggiamento tipico che si accomuna al conformismo, agito per mostrarsi più adeguati agli occhi altrui, rispondendo al criterio della desiderabilità sociale.

aderenza

Genuina aderenza:
il soggetto appoggia sentitamente quanto viene suggerito da altri, in qualità di individuo responsabile in primis verso di sè e la sua salute, termine che in inglese si può tradurre con adherence, ovvero piena adesione al trattamento/prescrizione indicata

Quindi è possibile non demonizzare completamente la condiscendenza a patto che questa rimanga un sano espediente relazionale a supporto della comunicazione efficace e non si trasformi in compiacenza o rigido giudizio che interpreti l’altro come “una causa persa”, idee che presupporrebbero rispettivamente la mancanza di rispetto verso se stessi o l’altro.