“The smile must go on”

In questo Natale, intimo e diverso, dove ho avuto tanto tempo per stare con me stessa, quando i ricordi e le emozioni affiorano, mi è venuta alla mente una poesia di Frederick William Faber “Il valore di un sorriso” e mai come in questo momento si sente il bisogno urgente di tornare a sorridere.

Il sorriso è una caratteristica esclusivamente umana, è un atto di autodeterminazione ed è tra le principali manifestazioni espressive che ci accompagna per tutta l’esistenza, a partire dalla vita intrauterina.

Il sorriso è l’espressione che più portiamo dentro ed è il riflesso di ciò che sentiamo, di quello che lasciamo agli altri e di quello che degli altri resta dentro di noi.

Il sorriso è un linguaggio universale che arricchisce ogni relazione umana: guardandosi negli occhi e sorridendosi si crea un sottotesto enorme di significati, di parole non dette e il sorriso è il fil rouge che lega e tiene alto il grado comunicativo tra due persone. Col sorriso esprimiamo felicità, assenso, comprensione, appoggio, complicità.

Siamo attratti da persone che sorridono. Sorridere rende attraenti più del make up. Sorridere aiuta a essere positivi. Sorridere cambia lo stato d’animo. Sorridere rende l’aspetto più giovane. Sorridere allevia lo stress. Sorridere è terapeutico. Sorridere è contagioso e sicuramente è l’unica forma di contagio che ricerchiamo negli altri e desideriamo per gli altri.

Sul tema del sorriso sono stati versati “fiumi di inchiostro”, hanno scritto neurologi, fisiologi, sociologi, psicologi, storici dell’arte ma adesso più che mai si avverte la necessità di sottolineare come l’atteggiamento di un così limitato distretto corporeo, quale la bocca, caratterizzi in maniera netta la nostra qualità di vita.

Siamo reduci da un periodo lungo e stancante in cui abbiamo dovuto dimostrare resilienza e motivazione nello sperare nel domani, ma da cosa deriva questa stanchezza?

Nell’atto pratico il Covid-19 ha ridotto le nostre capacità produttive, ha limitato le nostre possibilità occupazionali, ma nonostante ciò ci professiamo affaticati; stanchi probabilmente di una vita priva di rapporti, priva di umanità per come l’abbiamo sempre conosciuta.

L’uso obbligatorio delle mascherine, esteso anche ai non sanitari, ha creato un’ulteriore barriera comunicativa che interessa sia la sfera verbale, mediante l’attenuazione dei suoni, sia la non verbale, celando la mimica facciale e il linguaggio labiale, generando, secondo la letteratura, frustrazione, ansia e diminuzione della qualità della vita.

I rapporti umani si sono ridotti alla semplice funzionalità diminuendo il piacere sociale delle conversazioni e la diffidenza ha attenuato il pathos comunicativo incrementando l’asetticità, che poco ci fa riconoscere nella nostra cultura italiana che ha più volte ricondotto, nella sua storia, il concetto di bellezza a quello del sorriso del proprio popolo.

L’unica insegna che ha fatto percepire cosa provassimo sono stati gli occhi, che da sopra la serranda pubblicizzavano un fermento interiore: comunicavano tutto ciò che avveniva dietro le quinte, anche se spesso con fatica; dopotutto è difficile imparare a giudicare un intero spettacolo dal solo poster pubblicitario.

Le nostre potenzialità di dialogo si sono così concentrate sullo sguardo, sull’atteggiamento dei nostri occhi, richiedendoci uno sforzo di sensibilità, un aumento delle nostre doti empatiche per poter creare un contatto senza contatto. Ma gli occhi da soli sono bastevoli? In una Monna Lisa con la mascherina sarebbe sufficiente lo sguardo a veicolare il mistero?

Siamo stati chiamati a intuire il finale della storia leggendo soltanto il titolo, abbiamo imparato a sorridere con la bocca del cuore, ma, siamo sinceri, abbiamo bisogno di sorridere davvero.

A ogni modo, ormai i tempi bui sembrano essere sempre più alle spalle, prossimi a quando, alla luce del sole, gli orbicolari si distenderanno, i muscoli elevatori dell’angolo della bocca e i buccinatori inarcheranno le labbra e il mentoniero, finalmente, farà aprire il sipario.

Si riaccenderanno le luci sul palco.

Ed eccoli lì i denti, gli attori, che hanno lavorato in silenzio e nell’ombra tutti schierati sul proscenio; denti che hanno rinunciato per troppo tempo a mostrarsi e che ora chiedono indietro tutti gli applausi che sono stati sottratti loro e gli occhi, quegli stessi occhi che sono stati fari in un mare di mascherine azzurre, saranno finalmente i riflettori di una gioia vera.

Tutto è rimasto perfetto, dalla scenografia alla trama. Forse è stata proprio l’aspettazione fiduciosa di una ritrovata libertà, che non ci ha fatto demordere dal provare a sorridere, anche se celati, anche senza un pubblico.

L’avvento del vaccino si configura come un nuovo inizio: con le campagne di somministrazione su larga scala già avviate in molti paesi e la speranza di riuscire, in questo 2021, a lasciarci la pandemia alle spalle. Anche se con buona probabilità le regole finora adottate, come distanza di sicurezza e utilizzo della mascherina, ci accompagneranno ancora per un po’ di tempo, la speranza di tornare a sorridere insieme sembra sempre più vicina.

A ogni modo, il conto alla rovescia è cominciato: grazie al contributo di ciascuno di noi riusciremo a mettere la parola “fine” a questo periodo buio e, finalmente, a illuminarlo con un sorriso.

In fin dei conti le regole del mondo dello spettacolo sono chiare, qualsiasi cosa succeda “The smile must go on”.