Sostituti vegani del latte materno e aumentata incidenza delle patologie dentogengivali

Vegan substitutes for breast milk and increased incidence of dental and gingival diseases

FIG. 1 Sequenza dell'eruzione dei denti decidui.

INTRODUZIONE

Secondo le Linee guida nazionali per la prevenzione delle patologie orali in età evolutiva del 2013, il rischio individuale di sviluppare lesioni cariose deve essere valutato attraverso l’esperienza di carie, le abitudini alimentari e di igiene orale, la fluoroprofilassi e lo stato di salute generale di ciascun individuo, oltre che attraverso lo stato socioeconomico della famiglia di origine(Forza della raccomandazione A Grado dell’evidenza I) (1). La valutazione del rischio di carie risulta perciò complessa, poiché comprende fattori fisici, biologici, ambientali e comportamentali. Batteri cariogeni, abitudini alimentari errate, inadeguato flusso salivare, insufficiente esposizione al fluoro (2), scarsa igiene orale e basso livello socioeconomico familiare (3) sono riconosciuti come importanti fattori di rischio per la patologia cariosa (4). Sempre secondo le Linee guida nazionali del 2013 l’assunzione di bevande e cibi contenenti carboidrati semplici è fortemente sconsigliata fuori dai pasti principali; in particolare l’uso del succhiotto edulcorato e l’uso non nutrizionale del biberon contenente bevande zuccherine (tisane, succhi di frutta ma anche latte di riso) devono essere fortemente sconsigliati.

TAB. 1 Composizione media in micronutrienti e minerali per 100 g di latte materno, vaccino e una formulazione infantile commerciale (da Mataix, 1995).

Il saccarosio, il comune zucchero da cucina, è il carboidrato semplice (disaccaride) più efficacemente metabolizzato dai batteri cariogeni (5). Bisogna sottolineare, tuttavia, che esistono altri carboidrati che presentano la possibilità di essere fermentati efficacemente dai batteri. Oltre al saccarosio, in ordine di cariogenicità, vi sono, infatti, il glucosio, il maltosio, il fruttosio e il lattosio (6). Gli alimenti ricchi di amido, senza l’aggiunta di zuccheri, invece, giocano un ruolo limitato nella patogenesi della carie (7).

Le più recenti ricerche in ambito nutrizionale hanno portato a riconoscere nella dieta (parola che deriva dal greco dìaita e che significa letteralmente “modo di vivere”) la variabile dello stile di vita che è maggiormente in grado di influenzare la salute dell’individuo. La “dietetica” è la disciplina medica che studia il corretto utilizzo degli alimenti, atto a soddisfare le necessità biologiche del singolo individuo e della collettività in condizioni di salute e di patologia, nel rispetto dei gusti, delle abitudini e delle disponibilità di cibo di ciascun Paese (8). La persona correttamente alimentata basa la dieta su una distribuzione omogenea di macro e micronutrienti, dove per macronutrienti si intendono carboidrati, lipidi e proteine e per micronutrienti si intendono vitamine e sali minerali. In pratica la dietetica valuta se e come l’utilizzo di questi nutrienti è idoneo a coprire e garantire tutte le necessità nutrizionali dell’individuo anche in base alla sua età e al suo stato di salute.

TAB. 2 Composizione nutrizionale del latte di alcuni mammiferi (da Mataix, 1995).

Quando chiediamo al paziente odontoiatrico di compilare il “diario alimentare” ci possiamo trovare di fronte a diverse possibilità per quanto riguarda le abitudini alimentari:

dieta onnivora, ammette alimenti sia di origine vegetale sia di origine animale;

dieta latto-ovo-vegetariana, esclude alimenti derivanti dall’uccisione diretta di animali terrestri e marini e ammette alimenti di origine vegetale e animale indiretta (uova, miele, latte e derivati);

  • dieta pesco-vegetariana, esclude solo la carne;
  • dieta latto-vegetariana, ammette latte e derivati, esclude uova, carne e pesce;
  • dieta ovo-vegetariana, ammette uova, esclude latte e derivati, carne e pesce;
  • dieta vegana o vegetariana totale, esclude qualsiasi alimento di origine animale diretta o indiretta, mentre ammette qualsiasi alimento di origine vegetale;
  • dieta macrobiotica, non è prettamente vegana, ma esclude latte animale e derivati.

Veganismo in Italia

I dati Eurispes del 2019 riferiscono che in Italia i vegani rappresentano il 7,3% della popolazione (+0,2% rispetto al 2018) (16), i vegetariani risultano, invece, in calo rispetto agli anni precedenti, scendendo al 5,4% e perdendo lo 0,8% rispetto al 2018. Il 4,9%, inoltre, ha sperimentato e poi abbandonato la dieta vegetariana. Un quarto dei vegani (25,1%) considera tale dieta un “vero e proprio stile di vita” (legato anche a ragioni religiose e filosofiche e a un profondo rispetto verso gli animali) mentre 3 su 10 sono certi dei benefici sulla salute (le proteine vegetali sono considerate più salutari di quelle animali). Tuttavia, il 32,1% di chi ha sperimentato e poi abbandonato, lo ha fatto per seguire un’alimentazione più completa, mentre il 35,7% ha sofferto per le eccessive rinunce.

E per quanto riguarda la popolazione pediatrica? Nel 2018 l’associazione “La Medicina in uno scatto”, collaborando con la professoressa Mariella Baldassarre, docente dell’Università degli Studi di Bari e medico presso l’Unità Operativa Complessa di Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale nonché esperta di Nutrizione Pediatrica, ha condotto una indagine conoscitiva su un gruppo di genitori italiani, ai quali è stato sottoposto un questionario atto a valutare:

  • la diffusione dello svezzamento vegetariano;
  • la correlazione tra regime alimentare dei genitori e le metodologie di svezzamento;
  • il regime alimentare scelto dai pazienti pediatrici dopo l’acquisizione di maggiore autonomia nella selezione degli alimenti;
  • la durata dell’allattamento in base al tipo di svezzamento;
  • il ruolo svolto dal pediatra nell’educazione alimentare;
  • l’eventuale utilizzo di integratori alimentari.

Da tale indagine è risultato che l’alimentazione materna rappresentava il principale fattore determinante il regime alimentare dei figli, svezzati nel 9,2% dei casi con un regime alimentare vegetariano associato a un prolungamento della durata dell’allattamento. Si è evinto poi che una buona parte dei pediatri (41,2%) non era in grado di soddisfare le esigenze educative delle famiglie in tema di “svezzamento non convenzionale” e che addirittura il 77,4% era dichiaratamente contrario a esso. Le segnalazioni passate o attuali dei casi di “squilibri nutrizionali” in infanti vegani o vegetariani potrebbero essere legate all’assunzione di “formule alimentari casalinghe”, come per esempio bevande vegetali sostitutive preparate in casa, somministrate senza il consiglio di un pediatra e/o di un nutrizionista esperto in materia: figure a cui è sempre opportuno rivolgersi.

Lo svezzamento

Il periodo dell’allattamento esclusivo interessa la prima parte della vita e può durare da pochi mesi fino all’anno di età. Si intreccia, in genere a partire dai 6 mesi di vita, con l’introduzione nell’alimentazione di altri tipi di latte, di cibi semi-solidi e solidi durante lo svezzamento o “slattamento”, al termine del quale il bambino è in grado di assumere qualsiasi tipo di cibo solido. 

Sappiamo che a partire dai 6 mesi di vita cominciano a comparire i denti decidui (Fig. 1), quindi per il bambino diviene sempre più semplice masticare cibi di consistenza via via maggiore e questo contribuisce a un corretto sviluppo della muscolatura masticatoria e delle ossa mascellari. Con lo svezzamento inoltre si sviluppa una corretta “coordinazione occhio-mano-bocca”, poiché il bambino impara a portare il cibo alla bocca con la mano e progressivamente a utilizzare il cucchiaio.

Se confrontiamo la composizione nutrizionale di latte materno, vaccino e di formula (Tab. 1) possiamo notare che il latte vaccino è il più ricco in proteine, mentre il latte materno ha la maggiore quantità di grassi e carboidrati. Oligoelementi importanti per la struttura ossea e dentale come calcio e fosforo sono molto presenti nel latte vaccino che tuttavia è più povero di ferro rispetto al latte di formula (latte in polvere).

Al di là delle concentrazioni dei vari macro e micronutrienti, l’allattamento al seno, così come raccomandato dalle linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (17) rappresenta una pratica importantissima per lo sviluppo del bambino (fino al sesto mese di vita come fonte alimentare esclusiva, senza necessità di aggiunta di acqua o cibo solido), anche da un punto di vista psicoaffettivo e funzionale stomatognatico. Dopo il sesto mese di vita il latte materno non fornisce più adeguate quantità di zinco, ferro e proteine a elevato valore biologico; esso non dovrebbe essere completamente eliminato, bensì integrato, in quanto fornisce comunque elevate quantità di acidi grassi a catena lunga, enzimi e immunoglobuline importanti per lo sviluppo dell’infante.

Con lo svezzamento, nel caso di una dieta vegana comincia a essere introdotto il latte vegetale, espressione di uso comune che identifica bevande simili nel colore al latte animale, ma impropria secondo la Corte di Giustizia Europea, in base alla sentenza del 14 giugno 2017, volta a garantire al consumatore chiarezza assoluta sull’origine vegetale del prodotto e sulle caratteristiche e qualità. L’All. VII, parte II della suddetta sentenza, stabilisce che «Il “latte” è esclusivamente il prodotto della secrezione mammaria normale, ottenuto mediante una o più mungiture, senza alcuna aggiunta o sottrazione».

Le bevande vegetali sono spesso ricche in zuccheri semplici, naturali o aggiunti nel corso della produzione industriale, e antinutrienti. Introdurre troppo precocemente alimenti ricchi di saccarosio porta il neonato (predisposto naturalmente al gusto dolce che segnala una fonte di energia sicura) ad abituarsi agli alimenti zuccherini che saranno quindi sempre più richiesti.

Tutto questo può portare a carie precoci dei denti decidui (la cosiddetta Baby Bottle Syndrome o Early Childhood Caries), tipica non solo dei lattanti che utilizzano il ciuccio cosparso di zucchero o miele ma anche di coloro che bevono tisane zuccherate o latte di riso dal biberon (abitudini fortemente sconsigliate sempre dalle linee guida OMS).

Latte animale e bevande vegetali

Facendo un excursus sui diversi tipi di bevande utilizzate per lo svezzamento, consideriamo innanzitutto il latte animale. Come già accennato esso è per definizione “il prodotto della mungitura delle femmine di mammiferi domestici sane e ben alimentate”. Nel linguaggio comune quando si parla di “latte” si intende quello vaccino (il latte della mucca), mentre se proviene da altra specie animale si è soliti specificarla (latte di capra, di pecora, di asina). Il latte di vacca contiene proteine, lipidi, glucidi, vitamina A e vitamina D: confrontandolo con altri tipi di latte, vediamo come quello di pecora sia il più ricco di proteine mentre il latte di asina è quello con meno lipidi (Tab. 2).

Vi sono poi le bevande vegetali, simili solo per il colore bianco al latte animale, ma a differenza di questo non sono ottenute con un processo di mungitura, bensì attraverso un processo sintetico di estrazione da vegetali e sono anche definite mucillagini (ovvero sospensione di particelle solide in un mezzo acquoso). La prima grande distinzione da fare, per una disamina alimentare alla luce della salute orale, è quella tra bevande vegetali a maggior tenore proteico e bevande vegetali a maggior tenore glucidico. Le prime determinano un effetto nutriente o antinutriente a livello sistemico, incidendo quindi sullo sviluppo dell’apparato stomatognatico; le seconde comportano una maggiore disponibilità di zuccheri semplici a livello della cavità orale al momento dell’assunzione.

Teniamo comunque presente che in uno “svezzamento vegano” le bevande vegetali pure sono inadatte a sostituire il latte materno, essendo carenti in macro e micronutrienti; pertanto la scelta migliore, previo consulto con il pediatra, è rappresentata dalle “formulazioni vegetali per l’infanzia” (latte vegano di formula) opportunamente integrate con vitamine, sali minerali e amminoacidi.

Bevanda di soia

La più diffusa tra quelle ad alto tenore proteico è la bevanda a base di soia, estratta dai fagioli di soia e caratterizzata da uno scarso contenuto calorico, numerose proteine (il legume secco ne contiene il 36,9%), molti grassi poli-insaturi (omega-3), fibre, vitamine (A,E,B), ferro e fitoestrogeni. Di per sé povera di calcio, nelle preparazioni in commercio si può trovare addizionata di vitamine (D2, B12) e calcio in quantità paragonabile a quella del latte vaccino (è fondamentale a tal proposito si consiglia di leggere bene l’etichetta prima di acquistare, viste le variabilità legate al produttore). Il “latte di soia” viene preparato mediante ammollo dei fagioli di soia gialla che sono poi tritati e filtrati così da ricavare un liquido che viene bollito per migliorarne il valore nutritivo, riducendo il quantitativo di antinutrienti. La soia contiene, infatti, un antinutriente, o composto antinutrizionale, chiamato acido fitico, fitato non digeribile per l’essere umano, in grado di “chelare” ossia “legare e rendere non assorbibili dall’organismo umano” alcuni oligoelementi come zinco, ferro, magnesio e lo stesso calcio, essenziale per la costituzione dell’idrossiapatite dentale.

Bevanda di riso

La più diffusa ad alto tenore glucidico è la bevanda a base di riso, ottenuta per bollitura e successiva filtrazione del cereale. La bevanda risulta un buon sostituto del latte vaccino nelle preparazione alimentari, ma contiene un’elevata quantità di di zuccheri semplici cariogeni e, una volta ingerita, determina un indice glicemico pari a 85 (18). Generalmente il “latte di riso” industriale viene fortificato con olio di girasole, vitamine D2, B12, calcio e aromatizzanti.

Bevanda di avena

Il “latte di avena” è ottenuto dai chicchi d’avena bolliti e in seguito filtrati: è poco calorico, povero di grassi, meno ricco di zuccheri semplici rispetto al latte di riso e ricco di fibre, tra cui beta-glucano che contribuisce a ridurre il colesterolo LDL (cosiddetto “colesterolo cattivo”).

Quello presente in commercio viene anch’esso fortificato con vitamine D2, B12, calcio e aromatizzanti.

Bevanda di mandorla

Il “latte di mandorla” è ricco di vitamina E e non contiene naturalmente zuccheri cariogeni; se addizionato di calcio, è un’ottima alternativa al latte animale.

La supplementazione di micronutrienti

Abbiamo fatto cenno ai micronutrienti (vitamine, calcio): le vitamine sono un insieme eterogeneo di sostanze chimiche che non apportano direttamente energia metabolica (calorie) e normalmente sono necessarie in minime quantità per i fabbisogni dell’organismo. Regolano una serie di reazioni metaboliche, funzionando spesso come “coenzimi”. La carenza di vitamine, definita ipovitaminosi quando la vitamina è presente in quantità insufficienti nell’organismo e avitaminosi nei casi, molto più rari, in cui è totalmente assente, ha sintomi specifici a seconda del tipo di vitamina e può causare diversi disturbi o malattie (19). Le vitamine possono essere distinte in due grandi gruppi: vitamine liposolubili (A, D, E, K), che hanno la facoltà di essere accumulate nell’organismo, e vitamine idrosolubili (C e vitamine del gruppo B), che invece non hanno questa possibilità. Svolgono un ruolo importante nella costruzione e riparazione dei tessuti: per esempio, la vitamina C interviene nella formazione del collagene, la vitamina D contribuisce alla formazione delle ossa, alcune vitamine del complesso B (B6, B12, acido folico) partecipano alla produzione e maturazione degli eritrociti (9).

Vitamina D

La vitamina D contribuisce al mantenimento dei fisiologici livelli di calcio nel sangue e nei tessuti mineralizzati quali ossa e denti (durante la formazione).

Con l’alimentazione tramite il cibo animale e i suoi derivati (latte, latticini, uova, pesce grasso) si introduce la vitamina D3 (colecalciferolo). Nei cibi vegetali essa è scarsa o assente (ne è stata descritta la presenza in alcuni funghi), e comunque è sotto forma di D2 (ergocalciferolo). Tuttavia, in condizioni di adeguata esposizione solare la vitamina D può essere prodotta a partire da un precursore, il 7-deidrocolesterolo, a livello della cute grazie all’azione delle radiazioni UV (9). “La posizione geografica, il tempo di esposizione al sole e la pigmentazione della pelle sono fattori determinanti nella produzione di adeguati livelli di vitamina D” (10); “In particolare alle latitudini temperate, durante la stagione invernale, la produzione cutanea non è sufficiente e andrebbe integrata con la dieta” (11).

I soggetti più a rischio sono pertanto persone con bassa esposizione alla luce solare, per motivi di latitudine, di superficie cutanea e di permanenza prolungata in luoghi chiusi, come soprattutto bambini e donne di origine asiatica in zone poco soleggiate, persone anziane e istItuzionalizzate, bambini allattati al seno d’inverno se la madre non dispone di adeguate scorte di vitamina D, pazienti vegani (9).

La carenza di vitamina D compromette l’assorbimento intestinale di calcio, ne consegue una riduzione della calcemia che viene corretta parzialmente da un’aumentata secrezione di paratormone, che mobilizza il calcio dall’osso (9).

Calcio

È l’elemento maggiormente presente: da 1,5 a 1,9% del peso corporeo fondamentalmente presente in forma insolubile di idrossiapatite Ca10(PO4)6(OH)2.

Affinché questo elemento sia assorbito, è necessario che nella dieta siano presenti sufficienti quantità di vitamina D, grassi e proteine. Se i livelli di vitamina D non sono sufficienti, si ha un insufficiente assorbimento di calcio, che può provocare la comparsa di patologie carenziali come l’osteomalacia nell’adulto e il rachitismo nel bambino (9).

Fosforo

Questo macroelemento, tra i principali costituenti di ossa e denti, è il secondo minerale più abbondante dell’organismo (1%), strettamente collegato al calcio soprattutto per il suo assorbimento (9).

L’idrossiapatite costituisce il 96% dello smalto dei denti e il 70% della dentina; è organizzata in strutture aventi alta densità con conseguente durezza e resistenza che costituiscono i presupposti per mantenere l’integrità del dente (20).

Discussione

Svezzamento vegano significa aumentata incidenza di carie?

Nella nostra esperienza clinica come igienista dentale e odontoiatra pediatrico abbiamo evidenziato una elevata frequenza di lesioni cariose precoci e difetti dello smalto nei pazienti sottoposti a uno svezzamento a base di bevande vegetali e appartenenti a famiglie orientate a regimi alimentari vegetariani, vegani e macrobiotici. Ci siamo quindi chiesti quali potessero esserne le cause e se la letteratura scientifica potesse fornirci ulteriori informazioni a riguardo. La carenza di calcio tipica delle bevande vegetali “non fortificate”, la presenza di acido fitico (propria delle bevande di soia) e l’elevato contenuto di zuccheri semplici cariogeni (in particolare per le bevande di riso) potrebbero essere fattori di rischio per un’aumentata incidenza di lesioni cariose, difetti dello smalto e gengivite.

Quali dati si trovano in letteratura?

In uno studio clinico controllato randomizzato del 2010 (11) si considera l’effetto delle formulazioni per lo svezzamento a base di latte vaccino e di latte di soia sulla formazione del biofilm batterico e sulla demineralizzazione dello smalto dentale. Lo studio prevedeva l’utilizzo da parte dei pazienti coinvolti di apparecchi rimovibili contenenti piccole lastre di smalto dentale che sono anche state esposte extraoralmente più volte al giorno a diversi liquidi (dall’acqua distillata al latte di soia edulcorato). In seguito è stata valutata la composizione microbiologica del biofilm dentale sulle lastre di smalto e il grado di demineralizzazione delle stesse. Entrambe le formulazioni per lo svezzamento determinavano una significative demineralizzazione che risultava aumentata (come prevedibile) in caso di aggiunta di saccarosio, senza sostanziali differenze tra latte vaccino e latte di soia. Uno studio finlandese del 2005 (12) analizzato l’associazione tra le alterazioni della dentina e il latte di soia: sono stati valutati in un modello animale (giovani ratti) gli effetti del deficit proteico associato a un’alimentazione a base di soia e quelli del saccarosio sulla mineralizzazione della dentina e sull’insorgenza di carie nei molari. Sono stati studiati 4 gruppi di ratti alimentati con farina di soia cruda e saccarosio, farina di soia cruda e amido, polvere di latte scremato e saccarosio, polvere di latte scremato e amido. All’inizio dello studio è stata iniettata tetraciclina per marcare la dentina formatasi in quel momento. Dopo 6 settimane i molari inferiori sono stati sottoposti ad analisi istologica e sono state quantificate le aree di dentinogenesi e le carie dentali sviluppatesi durante l’esperimento. La dentinogenesi è risultata maggiore nei ratti alimentati con “farina di soia e saccarosio” e “latte vaccino in polvere e saccarosio”, mentre le carie sono risultate più estese e diffuse nei ratti alimentati con “latte in polvere e saccarosio”. La conclusione dello studio afferma che il deficit proteico legato all’assunzione della soia riduce la progressione delle carie. Tale conclusione a nostro avviso può essere oggetto di discussione, poiché la maggiore incidenza di carie nei ratti alimentati con “latte in polvere e saccarosio” potrebbe essere semplicemente legata a una maggiore assunzione di zuccheri semplici (nel latte è presente il lattosio, uno zucchero composto da glucosio e galattosio) piuttosto che a un ipotetico ruolo protettivo della soia.

Uno studio brasiliano del 2006 afferma che le formulazioni per lo svezzamento, sia a base di latte vaccino sia a base di soia, sono molto ricche in fluoro e questo fattore può aumentare il rischio di fluorosi, una patologia dei tessuti duri del dente definibile come ipoplasia dello smalto e/o della dentina causata da assunzione cronica di eccesso di fluoro durante il periodo di formazione del dente permanente (primi anni di vita del bambino) (13). 

Uno studio australiano del 2012 considera la capacità di produzione di acidi da parte dei batteri cariogeni in seguito all’assunzione del latte vaccino e della bevanda a base di soia: in particolare è stata misurata in vitro la produzione di acidi da parte di Streptococcus mutans a contatto con le due distinte bevande ed è stata riscontrata una maggiore capacità acidogenica del micro-organismo a contatto con il latte di soia.

Nel 2010 l’Università di Torino ha pubblicato uno studio (14) in cui sono stati valutati pazienti vegani e pazienti onnivori. Dopo 18-20 mesi nei pazienti vegani è stata evidenziata una maggior incidenza di demineralizzazioni rispetto ai pazienti onnivori. I ricercatori sottolineano che per definire un’effettiva correlazione causa-effetto tra dieta vegana e maggior incidenza di demineralizzazioni (e quindi maggior rischio di carie) è necessario studiare il campione di pazienti per un periodo di tempo più lungo. Nel 2020 l’Università La Sapienza di Roma ha pubblicato uno studio (15) atto a investigare la condizione di salute generale e specifica orale in una coorte di 77 pazienti adulti che hanno seguito per 24 mesi una dieta vegana. I pazienti presentavano buone condizioni di salute orale e il consumo di frutta fresca a pranzo è risultato essere protettivo contro la carie.

CONCLUSIONI

I prodotti vegetali in commercio sono molto diversi tra loro con contenuti calorici e di micro e macronutrienti estremamente variabili; inoltre l’alimentazione rappresenta solo uno dei fattori che influenzano l’insorgenza delle patologie pre e posteruttive dei tessuti duri del dente.

Come autori non siamo contro i principi della dieta vegana, ma siamo per la corretta diffusione scientifica che possa consentire una razionale e compiuta conoscenza di tutto ciò che responsabilmente possiamo consigliare e raccomandare ai nostri pazienti.

Dalla breve disamina della letteratura qui esposta emerge che sono ancora pochi gli studi scientifici sulle conseguenze di uno svezzamento vegano sulla salute orale:  finora la maggior parte degli studi sono stati orientati allo svezzamento vegano in relazione all’accrescimento e alla salute generale del bambino e alla correlazione tra alimentazione vegana e salute generale e orale nella popolazione adulta.

Qualora un professionista della salute orale dovesse intercettare un paziente o una famiglia in regime dietetico vegano o con dieta restrittiva verso un gruppo particolare di alimenti, dovrebbe sempre suggerire un consulto nutrizionale con figure esperte in materia di “diete alternative” e che possono necessitare di adeguata integrazione alimentare.

ABSTRACT

Aim In recent years, eating habits have become the subject of numerous epidemiological studies in the field of preventive dentistry. We are witnessing an increased interest in correct nutrition: this phenomenon is found in the scientific field, since a balanced diet is useful both to hinder the onset of dento-gingival diseases and to modulate local or general inflammatory states in the patient with chronic diseases (diabetes mellitus, cardiovascular diseases). In particular, with regard to dentistry, the causal relationship between excessive sugar intake and oral cavity diseases is widely demonstrated. In this article we wish to underline how specific dietary regimes, in particular the administration of vegan substitutes for breast milk during weaning, can hide predisposing factors for dental and gingival diseases.
Methods After a brief examination of the characteristics of weaning and the reality of veganism in Italy, the different types of milk and similar drinks available on the market are analyzed. Finally, the scientific studies on the consequences of a vegan weaning on oral health are analyzed.
Conclusion When oral health professionals intercept a patient or a family on a vegan diet or with a restrictive diet towards a particular group of foods, they should always suggest a nutritional consultation with experts in the field of “alternative diets”, in order to implement an adequate supplementation.

Eurispes 2019: è veg il 7,3% degli italiani. Aumentano i vegani, ma calano i vegetariani

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