Problematiche posturali e alimentazione

problematiche posturali

La relazione fra problematiche di tipo posturale e l’alimentazione si basa su evidenze di tipo anatomico, clinico e sperimentale. Le basi anatomiche si fondano sulla teoria delle fasce muscolari e connettivali secondo la quale il sistema miofasciale determina una stretta connessione fra tutti gli elementi tissutali, scheletrici e muscolari.

 

Da questo presupposto, e a causa di queste interazioni, una difformità in uno qualsiasi di questi distretti andrebbe a ripercuotersi di conseguenza anche sugli altri. Ogni alterazione a questi livelli che può essere determinata da fattori diversi, compreso quello alimentare, può dare origine quindi a una reazione a catena dettata, appunto, dai legami anatomici esistenti.

Riguardo alle basi cliniche, è frequente il riscontro in pazienti con disfunzioni dell’equilibrio posturale con anche l’evidenza di problematiche legate ad aspetti nutritivi conseguenti ad apporti alimentari non congrui, come per esempio le sindromi acidosiche. Dal punto di vista sperimentale, inoltre, va detto che diversi autori si sono interessati a tali tematiche validandone i presupposti e andando anche in particolare a sottolineare come tali alterazioni possano, a volte, dare origine a disturbi cronici, spesso addirittura invalidanti come le forme aggressive di sindromi miofasciali.

Disfunzioni gnatoposturali

Con disfunzioni gnatoposturali si intendono un complesso eterogeneo di alterazioni funzionali e strutturali coinvolgenti l’apparato stomatognatico e la postura del capo e del corpo nel suo insieme che possono essere di origine discendente e/o ascendente (1-5).

Le alterazioni discendenti sono squilibri posturali il cui evento causale primario si trova a livello dell’apparato stomatognatico quale conseguenza di piccoli o grandi squilibri occlusali che possono spaziare da semplici interferenze occlusali dovute per esempio a precontatti ovvero da abitudini viziate come interposizioni linguali che possono essere l’origine di un morso aperto, sino a problematiche maggiori come patologie a carico dell’ATM.

Le alterazioni ascendenti sono, invece, squilibri posturali il cui evento causale primario non si trova a livello dell’apparato stomatognatico, ma può avere origini lontane. Pensiamo per esempio agli squilibri posturali la cui causa primaria è da riferirsi ai disturbi che originano nel piede a livello plantare.

Esistono poi anche delle forme miste che riconoscono nella genesi sia una componente ascendente che una discendente. La sintomatologia clinica delle disfunzioni gnatoposturali è molto variabile e può spaziare da astenia, cefalea, diplopia, dolori trigeminali, vertigini, acufeni, ipoacusia, torcicollo, cervicalgia, brachialgia, dorsalgia, lombalgia, sciatalgia, senso di tensione o dolore ai bulbi oculari fino a parestesie agli arti, problemi di equilibrio statico e difficoltà alla deambulazione (6-9).

SINTOMATOLOGIA CLINICA DELLE DISFUNZIONI GNATOPOSTURALI

Astenia

Ipoacusia

Sciatalgia

Cefalea

Torcicollo

Senso di tensione

Diplopia

Cervicalgia

Problemi di equilibrio statico

Dolori trigeminali

Brachialgia

Parestesie agli arti

Vertigini

Dorsalgia

Dolore ai bulbi oculari

Acufeni

Lombalgia

Difficoltà alla deambulazione

La sindrome dolorosa miofasciale

Con sindrome dolorosa miofasciale, problematica di frequente riscontro, si intende una patologia che si presenta con una sintomatologia dolorosa somatica profonda, la cui origine è da riferirsi generalmente a una “contrattura “ muscolare che può, però, andare a interessare e manifestarsi in zone del corpo anche distanti dal muscolo che l’ha provocata.

Elementi importanti per la genesi e la cronicizzazione della sindrome dolorosa miofasciale sono anche gli squilibri posturali (10). Il dolore può presentarsi in forma acuta e improvvisa come nel caso di uno sforzo eccessivo, ovvero svilupparsi progressivamente, in modo latente, a seguito di microtraumi ripetuti nel tempo.

Oltre al dolore, la sindrome può ricomprendere anche disturbi funzionali variabili quali astenia muscolare ma anche limitazione dei movimenti che sono in relazione ai muscoli coinvolti. Il corollario sintomatologico può anche interessare sintomi neurovegetativi quali pallore e sudorazione, propriocettivi come vertigini o anche difficoltà della percezione della posizione spaziale.

Trigger point

La palpazione consente di ricercare e di determinare i cosiddetti trigger point che si percepiscono come zone estremamente limitate, in genere nodulari, localizzati nelle aree della fascia connettivale e in profondità nel muscolo caratterizzati da punti estremamente dolorosi alla compressione.

La risposta che ne deriva può assimilarsi a volte a un dolore di tipo fibromialgico. In particolare come già anticipato, interessando il sistema miofasciale, il dolore provocato può anche manifestarsi in aree distanti rispetto al muscolo che viene stimolato dalla compressione originando un dolore oltre che locale, a distanza che riproduce quello provato dal paziente.

Si possono distinguere due tipi di trigger point: trigger point in fase attiva, se il dolore si manifesta spontaneamente a causa del movimento; trigger point in fase latente, se il dolore si manifesta a causa della palpazione. A volte può anche concomitare una dermalgia riflessa (secondo Jarricot) che individua un’area di dolore riferibile a livello epidermico-dermica e che può associarsi ad una disfunzione viscerale; tale area risulta così dolente alla palpazione da poter stimolare anche riflessi neurovegetativi (11,12).

Genesi dei disturbi miofasciali

Un’alterazione funzionale nell’organismo provoca ridotta eliminazione di cataboliti e un’alterazione del tono muscolare; si determina una situazione di ischemia con conseguente ridotto apporto di ossigeno, ritenzione idrica e formazione di edemi localizzati alla zona interessata.

Si originano tensione e dolore che, a loro volta, incrementano l’ipertono. Tutto ciò determina una irritazione cronica che può favorire i processi infiammatori con il coinvolgimento del tessuto connettivale della fascia che, irrigidendosi, può esitare, ritraendosi, in un suo accorciamento e per continuità anatomica, anche a distanza, potranno essere coinvolte altre porzioni del sistema miofasciale.

Si origineranno nuove tensioni con interessamento del sistema circolatorio, disturbi vascolari e possibile comparsa di una fibrosi del tessuto muscolare. In sostanza una reazione a catena che si tradurrà in una contrazione dei muscoli posturali con tensioni ai tendini e dolore nel periostio, da cui deriveranno ulteriori disfunzioni articolari e alterazioni miofasciali che potranno procurare astenia e renderanno difficoltoso coordinare i movimenti (13,14).

Anche funzioni quali la respirazione possono essere coinvolte in tale processo. Con il tempo la contrattura e l’accorciamento muscolare possono portare, inizialmente, a un aumento del tono del sistema nervoso simpatico e, successivamente, anche a ripercussioni sul SNC. Si viene quindi a determinare una situazione di malessere e irritabilità che a sua volta può aumentare ulteriormente la tensione favorendo la comparsa di ulteriori disturbi funzionali e patologie acute.

Nutrizione e trigger point

Per poter ottenere una remissione duratura della sintomatologia miofasciale debbono essere eliminati tutti i fattori che alimentano la sindrome, quali funzioni articolari compromesse, vizi posturali, malocclusioni o interferenze occlusali favorenti uno squilibrio posturale.

Come riferito precedentemente, esiste però nel determinismo della sindrome anche un ulteriore fattore causale che viene spesso sottovalutato che è l’insufficiente apporto alimentare di determinati nutrienti.

Riguardo a questo, in sostanza, un’alimentazione scorretta o non equilibrata, in cui risultino carenti elementi nutritivi necessari a livello metabolico per il mantenimento dell’equilibrio acido base, può determinare, oltre a squilibri più generali, anche il coinvolgimento del tessuto connettivo miofasciale. Infatti, il ridotto apporto di vitamine (C e gruppo B in particolare) o minerali (ferro, calcio, potassio e magnesio) può associarsi a una elevata probabilità di provocare sindromi miofasciali.

Da ricordare anche che alcune categorie di soggetti particolarmente a rischio di sviluppare la sindrome sono gli anziani, i malati cronici, le donne in menopausa o in gravidanza e le persone con abitudini ad alcol e fumo; favorenti la sindrome può essere anche la presenza di disbiosi intestinale, diete alimentari ferree o, ancora, alcuni tipi farmaci (15).

Considerazioni conclusive

La soluzione del problema, in base a quanto sopra descritto, non può che essere multidisciplinare. Il professionista che intenda intraprendere un trattamento, sia esso posturale che alimentare dovrà quindi rapportarsi in una visione collaborativa e interagire con specialisti delle diverse branche coinvolte per poter arrivare a un risultato soddisfacente per il paziente, in particolare per quei casi particolarmente problematici.

Per recuperare l’omeostasi miofasciale gli interventi terapeutici, infatti, possono essere di vario tipo, da infiltrazioni con FANS associati a miorilassanti o anestetici ma anche a concomitanti trattamenti manuali osteopatici. Come ulteriore ausilio alla terapia bisogna anche considerare di intervenire per cercare di ridurre lo stress.

Di fondamentale importanza però è l’intervento per correggere posizioni o abitudini scorrette e anche comunque, come detto, di valutare il regime alimentare (16-21). In tal senso il ruolo dell’igienista dentale assume non poca rilevanza nel definire un programma di prevenzione a tutto tondo che preveda un intervento, non solo motivazionale volto all’attuazione di una corretta igiene orale domiciliare, ma anche di esortazione verso l’acquisizione di stili di vita salutari e di un’alimentazione corretta.

Come abbiamo visto, infatti, anche in questo percorso di approfondimento, le abitudini scorrette si ripercuotono in maniera talvolta anche importante sia sul cavo orale che sull’intero organismo. Naturalmente l’argomento trattato necessita di ulteriori approfondimenti ed evidenze e la comunità scientifica deve continuare il dibattito per dirimere dubbi, divergenze e arrivare a un protocollo multidisciplinare per dare così una risposta terapeutica adeguata e duratura ai nostri pazienti.

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